mercoledì 20 ottobre 2010

Come trasformare i tuoi collaboratori in zombi in 4 agili mosse


Creare un morto vivente non è affatto difficile. Crearne molti è ancora più facile perché la zombificazione è altamente contagiosa, soprattutto in spazi confinati come quelli di un ufficio, meglio se open space per una più rapida diffusione dell’infezione e l’assenza di spazi in cui ritirarsi e cercare di proteggersi. Ora la domanda è: da dove comincia il processo di trasformazione? Da dove viene il primo contagiosissimo zombie? Secondo il folklore vodoo gli zombi non nascono per caso ma sono creati ed assoggettati da un personaggio chiamato Bokoor. Che in Creolo significa semplicemente, attenzione, manager. Quindi gli zombi sono creati dai manager. Ma come? Quali superpoteri occorrono ai nostri Bokoor per trasformare il gruppo di persone di cui sono a capo in un esercito errante e ciondolante di morti viventi al lavoro? Niente di straordinario, anzi. Non serve un master in stregoneria ad Haiti, farlo è alla portata di tutti e basta seguire alcune semplici regole, o forse dovremmo dire malefici rituali di istupidimento. Ecco alcuni spunti.


Rituale uno. Potentissimo. Basta eseguirlo una volta per zombificare immediatamente due malcapitati che saranno poi chiave nel contagiare tutti gli altri. Si tratta di aspettare un momento in cui un collaboratore sia riuscito ad ottenere un obiettivo straordinario deviando un po’, con creatività ed iniziativa, dalle procedure. Appena individuato il soggetto A occorre indire una riunione in cui ci saranno messe alla berlina le iniziative personali e dove verrà premiato pubblicamente il soggetto B, dalle performance mediocri ma attento esecutore delle procedure. Il cervello di A e B, per motivi diversi, verranno immediatamente contagiati dal malefico torpore e potranno procedere al contagio degli altri (per capire come si diffonde il contagio vedere: http://otherwiseway.blogspot.com/2010_02_01_archive.html )

Rituale due. Genera infezione nell’arco di qualche settimana. E’ il più oneroso per il Bokoor ma anche il più facile da eseguire se il nostro “manager” è un fanatico del controllo oppure è stato promosso in quella posizione per le sue capacità “tecniche” e non ha alcun talento…manageriale appunto. Il maleficio si chiama micro management e si svolge in questo modo: dare istruzioni dettagliate e precisissime ad ogni collaboratore su ogni singola cosa che concerne il loro lavoro. Meglio se iperdettagliati nelle istruzioni. In caso di fretta (del manager) o di difficoltà (del collaboratore ) togliergli il lavoro e farlo in prima persona, senza ovviamente spiegargli nulla.

Rituale tre. Prendere un problema organizzativo dell’ufficio. Indire una solenne riunione in cui si comunica che verrà affrontato e sollecitare i collaboratori a dare idee e suggerimenti. Raccogliere le idee ed i progetti dei collaboratori e quindi…non fare assolutamente nulla. Incluso menzionare il fatto.

Incantesimo quattro (ripetibile a cadenza mensile o settimanale per rafforzare l’effetto): indire periodiche riunioni di almeno due ore durante le quali verranno proiettare dozzine di slides e in cui solo lo speaker, il Bokoor ovviamente, parlerà incessantemente. L’effetto è rafforzato da slides scritte in modo fitto fitto e senza immagini.

Ecco alcune semplici istruzioni che massimizzano le possibilità di creare intorpidimento mentale e trascinamento di piedi. Eppure ce ne sono molte altre. Suggerimenti?

lunedì 4 ottobre 2010

Il tempo delle carote


Immaginiamo di poter eseguire un test con un gruppo di persone. Assegniamo loro una serie di compiti che richiedono attenzione, concentrazione e creatività. Poi dividiamo il gruppo in tre e al primo gruppo promettiamo, nel caso in cui la performance sia ottima, un premio in denaro pari ad una giornata di lavoro, al secondo gruppo un bonus pari a due settimane di lavoro e all’ultimo gruppo un premio pari a 5 mesi di lavoro. Chi avrà la miglior performance secondo voi?


La risposta scioccante (si perché questi studi sono stati fatti davvero*) è che il gruppo a cui era stato promesso il bonus più alto è stato quello che ha avuto la performance peggiore. Per sgombrare il campo da dubbi ed eventuali polemiche legate allo stato di “bisogno” più o meno marcato dei gruppi, l’esperimento è stato ripetuto sia negli Stati Uniti che in India. Con identici risultati.

Secondo lo studio quindi la famosa strategia della carota (e del bastone) non avrebbe alcuna validità. Il che dovrebbe essere relativamente sorprendente: non per forza quello che muove un mulo muove anche gli esseri umani innanzitutto. E poi tutti abbiamo letto sui giornali di grandi manager italiani con bonus multimilionari capaci di potare sistematicamente disastri nelle aziende in cui lavoravano.

Qual è quindi il meccanismo? Gli incentivi economici sono facilmente una spada a doppio taglio. Da una parte motivano le persone a “darsi da fare”…ma allo stesso tempo possono danneggiare le performance perché sono fonte di stress ed ansia da prestazione. Questo a meno che non si tratti di lavori semplici e ripetitivi, facilmente manuali, in cui il concetto della “carota” motivazionale è ancora assolutamente valido.

Insomma, gli studi parlano chiaro. I premi ed il denaro non hanno effetto sulla performance. Eppure sono certo che fermando a caso un campione qualsiasi di persone in una città italiane si avrebbero risposte molto diverse (e spiegando la teoria magari anche qualche insulto). Ed è normale credo. Insomma il denaro è importante e gli studi in realtà continuano a confermarlo sostenendo che paradossalmente per eliminare il problema denaro basterebbe semplicemente pagare le persone abbastanza da evitare che il tema guadagno sia una preoccupazione quotidiana. E fin qui... Una volta però raggiunto quel livello di “serenità” offrire ulteriori premi in denaro per ottenere prestazioni superiori non avrebbe alcun senso. Quello che serve invece è molto meno “terreno”; si tratta anzi di tre fattori che, all’interno di un organizzazione, dovrebbero essere facilmente reperibili, o almeno più reperibili di un superbonus extra. Parliamo di:

-Autonomia (il desiderio di dirigere la nostra vita ed il nostro lavoro)

-Maestria (la voglia di migliorare costantemente in quello che facciamo, di essere bravi e soddisfatti di questo)

-Senso (la consapevolezza che il nostro lavoro è legato ad un motivo o senso, appunto, più alto rispetto al semplice fare soldi)

Eppure quanti manager, nel gestire la motivazione dei collaboratori, sono in grado di investigare e gestire una comunicazione su questi tre temi? E quindi di muoversi concretamente per fare qualcosa? Forse se la carota è stata per così tanto tempo l’unico elemento su cui tutti puntavano è perché non si avevano altre risorse a disposizione? E soprattutto come potrebbe funzionare un mondo in cui, liberi dal “bisogno” di guadagnare, potessimo tutti esprimere il meglio di noi stessi?

Utopie? Probabilmente, ma consiglio la visione di questo filmato particolarissimo e bellissimo in cui tutta la teoria discussa sopra è spiegata egregiamente con anche alcuni esempi concreti.

http://www.youtube.com/watch?v=u6XAPnuFjJc


*Studi condotti da Dan Ariely, Uri Gneezy , George Lowenstein, Nina Mazar