sabato 23 giugno 2012

Fretta e generosità



Nel 1977 gli psicologi sociali John Darley e Dan Batson hanno fatto un interessante esperimento presso gli studenti di teologia dell’università di Princeton. Al gruppo di controllo viene assegnato il compito di tenere un sermone sulla parabola del buon samaritano. Il sermone dovrà tenersi in un ala distante del campus. Una volta pronto il discorso ad un gruppo di studenti viene comunicato di affrettarsi poiché sono molto in ritardo per il sermone. Al resto viene comunicato che possono incamminarsi ma hanno un sacco di tempo e possono fare con calma. Mentre ogni studente attraversa da solo il campo si imbatte in un uomo rannicchiato a terra che tossisce e geme. Nella maggior parte dei casi gli studenti che credevano di avere molto tempo a disposizione si sono fermati. Il 90% degli studenti (con la parabola del buon samaritano in testa) che pensavano di essere di fretta non si sono fermati ad aiutare. Conclusione: basta una sottile manipolazione del tempo affinché una persona animata dalle migliori intenzioni anteponga i propri interessi al bene di una persona in chiara difficoltà.

Un altro psicologo sociale si è preso la briga di misurare la “velocità” o come lo chiama lui il “ritmo della vita” di intere città attraverso la misurazione della velocità della camminata, la precisione degli orologi e l’andamento delle transazioni commerciali. Bene…nelle città con “ritmo di vita” più alto è stato dimostrato che le persone sono meno propense ad aiutare gli altri (come aiutare un cieco ad attraversare, restituire un oggetto caduto etc…).
Insomma la nostra percezione del tempo ha un impatto sul modo in cui prendiamo le decisioni. E più ci sentiamo “di fretta” meno siamo predisposti ad aiutare gli altri. 

Mi viene da riflettere sull’impatto di questa tendenza sul lavoro di gruppo e la cooperazione. Quanto è utopistico pretendere teamwork e collaborazione ad un team sottoposto a rigide scadenze e ritmo lavorativo elevato? Quanto un manager dovrebbe riflettere sugli effetti psicologici del “tempo” sul modo in cui i collaboratori prendono le decisioni? Quanto potrebbe essere saggio ogni tanto dare ossigeno e togliere quella maledetta pressione che sembra governare la tarda modernità?