martedì 25 ottobre 2016

Si può ancora innovare? E perché poi dovremmo?



“E’ già stato inventato tutto l’inventabile”

Questa frase è attribuita da numerose fonti a Charles H. Duell,  responsabile ufficio brevetti degli Stati Uniti, nel 1899. Ma poco importa, perché siamo tutti un po’ il Charles e diremmo o penseremmo la stessa cosa se ci sfidassero a proporre un idea per un prodotto o servizio davvero innovativo. Di fronte al nuovo infatti sentiamo la classica tensione da pagina bianca e ci sembra impossibile arrivare ad un idea un minimo originale. A volte la sfida ci irrita, altre la evitiamo semplicemente dichiarando “io non sono uno creativo” (di solito seguito da “ho altre qualità serie, ad esempio…”). Questa impossibilità a concepire il nuovo sparisce istantaneamente quando ci mettono sotto il naso l’invenzione del momento, ed è allora  che scatta un meccanismo simile a quello che scatta quando un prestigiatore rivela un suo trucco: proviamo un senso di ovvietà. Come a dire “certo, ovvio, lo avrei potuto pensare anche io”.  Quasi banale. Ora, la mia tesi è che certo,  certo, potevi pensarlo (e farlo ) anche tu…ma intanto non lo hai ne pensato ne fatto. Perché? Il nodo cruciale dell’innovazione è tutto qui. Di fatto spesso quando ci presentano una buona nuova idea la “riconosciamo” all’istante, come se fosse sempre stata dentro di noi. Perché  allora non riusciamo a vederla noi per primi? Cosa ci rende ciechi? E perché è importante lottare per liberarsi da questo velo che abbiamo davanti agli occhi?

Cominciamo rispondendo alla seconda domanda. Come mai, tra tutte le rogne che dobbiamo sopportare nella vita, dovremmo caricarci anche della responsabilità di essere innovatori? E perché proprio noi, che abbiamo magari un normale lavoro in azienda e non siamo certo membri del team di ricerca e sviluppo di Google o di Apple? Andando per ordine…

Bisogna innovare per scappare dalla gara al massacro della competizione. La competizione sfrenata porta a fare battaglie costose di prezzo e costi, riducendo i margini, spremendo le persone come limoni, tagliano i costi senza creare davvero nuovo valore. L’approccio opposto è stato descritto benissimo qualche anno fa dal libro “Oceano Blu”: Kim & Mauborgne affermano che le compagnie possono avere successo non battendo i rivali, ma piuttosto creando "oceani blu" negli spazi di mercato inesplorati. Attraverso queste mosse strategiche, si crea un salto di qualità nel valore dell'impresa, nei suoi clienti e nei dipendenti, mentre si sblocca nuova domanda e si riduce la competizione a qualcosa di irrilevante. (fonte Wikipedia). Consiglio la lettura del libro "strategia oceano blu" per chi non lo avesse ancora fatto.

Bisogna innovare per evitare di diventare “rane bollite”. La triste e notissima metafora è la seguente: immaginiamo una pentola con dell’acqua fredda. In essa, è stata immersa una rana, che subito inizierà a nuotare in maniera tranquilla. Un fuoco è acceso sotto la pentola, e l’acqua si riscalda, piano piano. Dopo un po’ l’acqua è tiepida. La rana la trova ancora piuttosto gradevole, e continua a nuotare senza alcun disturbo. La temperatura sale ancora. Adesso l’acqua è calda. Lo è un pochino più di quanto la rana apprezzi. Ma l’animaletto non si spaventa ancora, perché non percepisce alcun pericolo.
Passa del tempo e l’acqua diventa davvero troppo calda. La rana la trova ora molto sgradevole, ma si è oramai indebolita. Non ha più la forza di reagire: cerca di sopportare il calore troppo elevato e non fa nulla per rimediare alla situazione, che comincia a farsi pericolosa per la sua salute. Intanto, la temperatura sale ancora, fino al momento in cui la rana finisce… bollita!
Se la stessa rana fosse stata immersa direttamente nell’acqua calda o addirittura bollente, avrebbe dato un colpo di zampe e sarebbe balzata subito fuori dalla pentola. O almeno ci avrebbe provato. Avrebbe cioè subito percepito una situazione di pericolo che necessitava di un cambiamento urgente.
Questa storia ci mostra che, quando un cambiamento si realizza in modo lento, sfugge alla nostra coscienza e non suscita – per la maggior parte del tempo – nessuna nostra reazione o opposizione. Un cambiamento lento, cioè un’abitudine che si acquisisce pian piano, rappresenta sempre un potenziale rischio, se non siamo perfettamente vigili sulla direzione che stiamo prendendo. Rane bollite celebri sono state la Kodak, che ha insistito nel investire nel core business delle pellicole mentre piano piano si diffondeva la fotografia digitale, Blockbuster che non ha saputo intercettare il pericolo della tv via satellite (ed oggi dello streaming video), la Mivar, piccola eccellenza nella produzione di televisioni a tubo catodico che si è rifiutata di accettare la rivoluzione dello schermo digitale.

Bisogna innovare non solo per intercettare e non soccombere ai cambiamenti lenti ma anche per reagire a quelli dirompenti. Oggi viviamo in “tempi esponenziali e fenomeni quali le app, la nuove funzionalità disponibili, il cloud, i social network, lo shopping online, la disintermediazione possibile (basti pensare alle agenzie di viaggio tradizionali messe in crisi profonda dalla semplicità di acquistare aerei e pacchetti online, ma anche alle banche che cominciano giustamente ad allarmarsi) fanno si che interi mercati vengano spazzati via in pochi anni o anche mesi. Un paio di esempi? What’s up, il noto sistema di messaggistica, che è passato da 0 a 450 milioni di utenti in 4 anni(1), ha messo fortemente in crisi il mercato seppur giovane degli sms.  Oppure a google maps, un applicazione gratuita basata sul cloud che ha messo in grande difficoltà i produttori tradizionali di navigatori, come Tom Tom o Garmin.

Ed infine bisogna innovare, e riguarda tutti, per rendere il mondo un posto migliore.

(1) Fonte Big Bang Disruption – Larry Downes e Paul Nunes