mercoledì 21 ottobre 2015

Sul perché può essere utile avere qualcuno che odi tra gli amici di facebook



Avete un amico o collega con una convinzione forte e radicata? Come ad esempio che i soldi siano l’unico e solo modo per motivare le persone? Avete cercato di spiegargli che non è così, magari perché voi stessi non vi riconoscete in questa affermazione o magari perché avete letto un articolo a riguardo eppure lui non desiste e vi porta a rinforzo delle sue opinioni un mucchio di esempi? Talmente precisi che magari anche a voi comincia a venire il dubbio?
Cosa c’è dietro questo meccanismo? E’ lui che è ben documentato e voi no, viceversa oppure c’è qualcosa di più complesso?
Innanzitutto bisogna tirare in ballo il  “bias di conferma”. Wikipedia lo definisce un processo mentale che consiste nel ricercare, selezionare e interpretare informazioni in modo da porre maggiore attenzione, e quindi attribuire maggiore credibilità, a quelle che confermano le proprie convinzioni o ipotesi, e viceversa, ignorare o sminuire informazioni che le contraddicono. Il fenomeno è più marcato nel contesto di argomenti che suscitano forti emozioni o che vanno a toccare credenze profondamente radicate.
Ora che ci piaccia o no noi funzioniamo così. Si potrebbe obiettare che nell’era di internet e dell’informazione disponibile sia difficile però prendere cantonate. Per tornare alla discussione con l’amico…sarebbe bastato leggere uno dei tantissimi studi fatti per capire che il suo punto di vista è sbagliato. E invece no. Perché purtroppo la rete invece di aiutarci ad allargare le nostre vedute pare funzioni all’opposto.
In un bell’articolo uscito su Wired (lo trovate qui) si parla di alcuni studi (fatti nello specifico sul tema delle bufale, ovvero chi ci crede e chi le smonta) si conclude che “il network  non serve per informarsi, ma per avere conferme a quello che già si conosce. Cioè per certificare la propria appartenenza a una tribù e rimanere protetti all’interno del gruppo dei propri simili”. E portare avanti battaglie contro la tribù nemica pare sia un “gioco” irresistibile e di grande soddisfazione.
Penso a tutte le volte in cui, navigando su facebook, ho letto  qualcuno dichiarare “ed oggi faccio pulizia”…con conseguente cancellazione di tutti quelli che non la vedono come lui: mi pare di scorgere la volontà di consolidare la tribù ed arroccarsi per lanciare un nuovo attacco. 
Peccato. Perché gli strumenti e le informazioni ci sono ma il nostro cervello ancora fa fatica ad uscire da meccanismi antichi (utili per la sopravvivenza) ed edonistici ( creare un’immagine grandiosa di sé screditando gli altri pare sia irresistibile).

Quale antidoto? Forze sforzarsi di tenere tra i contatti sui social anche persone che la vedono diversamente da noi? Difficilissimo soprattutto sui temi caldi del nostro tempo. Eppure potrebbe essere un modo per non cedere troppo alla relatività del nostro sentire e pensare. Richiede sforzo, ovviamente, e non tutti hanno voglia di farlo. Credo che cancellerò dai miei contatti tutti quelli che non si sentono di fare questo tentativo (era una battuta…si era capito vero?).

giovedì 24 settembre 2015

Quarantadue - Ovvero qualcosa da sapere sul tema delle domande


Dal film “Guida Galattica per autostoppisti”

NARRATORE:  Milioni e milioni di anni fa, una razza di esseri pandimensionali, iperintelligenti, stufi marci del continuo battibeccare sul senso della vita, incaricarono due dei loro più brillanti elementi di progettare e realizzare uno stupendo supercomputer (chiamato “Pensiero Profondo” ndr) per calcolare la Risposta alla vita, l'universo e tutto quanto.
FOOK:  O Pensiero Profondo, noi vogliamo che tu ci dia la Risposta.
PENSIERO PROFONDO:  La Risposta a che cosa?
FOOK:  La Risposta alla vita!
LUNKWILL:  All'universo!
FOOK:  A tutto quanto! Ci piacerebbe una risposta.
LUNKWILL:  Una semplice.
PENSIERO PROFONDO:  Uhm... Ci devo pensare. Ritornate in questo posto tra sette milioni e mezzo di anni in punto.
FORD:  È finito?
ZAPHOD:  Oh, no, continua. Continua. Sono tornati.
ARTHUR:  Ah, quando? Sette milioni e mezzo di anni dopo?
ZAPHOD:  Esatto. È così.
PHOUCHG:  Pensiero Profondo, hai la...
PENSIERO PROFONDO:  ...
Risposta per voi? Sì, ma non vi piacerà.
PHOUCHG:  Non importa. Dobbiamo conoscerla.
PENSIERO PROFONDO:  Va bene. La Risposta alla Domanda Fondamentale sulla vita, l'universo e tutto quanto... è... quarantadue.
PUBBLICO:  Sì! Cosa? Cosa? Eh? Quarantadue?
PENSIERO PROFONDO:  Sì, sì, ci ho pensato attentamente. È questa. Quarantadue.
PUBBLICO:  Figurati! No! No!
PENSIERO PROFONDO:  Certo sarebbe stato più semplice se avessi conosciuto la domanda.
LOONQUAWL:  Ma era la Domanda. La Domanda Fondamentale! Di tutto quanto!
PENSIERO PROFONDO:  Questa non è una Domanda. Solo quando conoscerete la Domanda comprenderete la Risposta.


Ovvero:  non ci sono risposte sbagliate, solo domande sbagliate! Il libro in copertina presto disponibile come ebook ed anche in cartaceo su Amazon serve proprio ad aiutarci a trovare la domanda giusta, sia indirizzata a noi stessi sia al cliente o nelle situazioni di management o coaching. Stay tuned.

sabato 27 giugno 2015

E se il Time Management non riguardasse il Time Management?


Prendiamo due professionisti Ernesto ed Evaristo. Entrambi hanno le stesse competenze di organizzazione e gestione del tempo, diciamo che hanno addirittura frequentato assieme un corso di Time Management e fanno lo stesso lavoro. Eppure hanno un approccio all’organizzazione personale completamente diversa. Ernesto è disciplinato ed organizzato, comincia le giornate con precise to do list, la sua agenda sul telefono è sempre aggiornata e sincronizzata con quella del PC. Appena prende un impegno lo segna e si blocca in agenda anche il tempo della preparazione. Impossibile che si dimentichi di qualcosa. E quando un impegno è in agenda lotta per difenderlo e per non farlo mangiare da altre attività. Se si chiede la disponibilità ad Ernesto per un meeting o per un progetto controlla immediatamente l’agenda e da sicura disponibilità, che manterrà fino alla morte. Evaristo non usa l’agenda sul pc e si porta in giro una classica agenda di carta. Spesso però la dimentica e fa affidamento alla memoria, a volte sbagliando. Se si chiede la disponibilità ad Evaristo  per un meeting o per un progetto bisogna aspettare ore o a volte giorni prima di avere una risposta. E qual appuntamento sarà facilmente sacrificato se qualcosa di più importante compare all’orizzonte. Risultato? Ernesto è sempre intasato di lavoro, spesso fa tardi la sera e lavora il week end. Evaristo è molto meno intasato ed in generale più rilassato. Da dove viene la differenza visto che, come abbiamo detto, entrambi i personaggi hanno le stesse competenze di base? 

Comincio a pensare che i classici strumenti di gestione del tempo non centrino niente, e che sia una questione di emozioni, gestione dello stress, responsabilità e forse valori. Nella complessità del lavoro attuale non si tratta solo più di mettere in fila le attività ed è facile il consenso nel dare importanza ad una consegna ad un cliente. Meno nell’ordinare la quantità di attività tangibili o spesso intangibili che compongo il mosaico del “lavoro” moderno.


Se si tratta di emozioni è evidente che il nostro Ernesto è molto più spaventato dall’imprevisto e dall’idea di farsi trovare impreparato. E sicuramente vive con disagio l’idea di non essere affidabile e preciso e di tirare fregature al prossimo. Evaristo invece non vive questo disagio emozionale e forse la sua vera paura è quella di sentirsi troppo imbrigliato in una rete di attività che magari non ritiene neanche fondamentali. Se quindi parliamo di stress (organizzativo e legato al tempo e ai progetti) mi pare si possa dire che Ernesto lo carica tutto su di se, mentre Evaristo non accettandolo finisce per scaricarlo sugli altri. Ed ecco che per parlare seriamente di gestione del tempo bisogna necessariamente fare un viaggio nel nostro sistema di valori, emozionale e “filosofico”.  Non cosa è importante “fuori”, ma cosa è “importante” dentro. Un corso sul Time Management moderno non può più occuparsi della pianificazione e basta (tra l’altro destinata comunque a saltare) ma deve cominciare a prendere in analisi il mondo interiore delle persone.

domenica 3 maggio 2015

Tre cose ancora da dire riguardo alle riunioni


Le riunioni sono una perdita di tempo. Sono noiose. Lunghe discussioni sterili. Mi invitano ma non c’entro. Perché l’abbiamo fatta? Non si prendono decisioni. Non c’è follow up. Non c’è un agenda.  Nessuno fa niente dopo. Si dicono tante cosa ma poi non cambia niente. Rubano tempo al lavoro.

Siamo nel 2015 e ancora si sentono dire le medesime cose quando si parla dell’argomento. Eppure negli ultimi dieci anni sono usciti articoli, libri, video su come fare buone riunioni da una parte e quanto sia penoso farle male dall’altra. Ad esempio il tema dell’ importanza dell’agenda è stata ampiamente discusso e condiviso, così come quello di una buona conduzione e della necessità di avere un piano d’azione. E ancora le riunioni sono fonte di frustrazione e noia. Perché?

Ora facciamo finta che il nostro manager, chiamiamolo Evaristo, sappia già tutto quello che di base bisogna sapere: ovvero che è fondamentale inviare un agenda assieme all’invito alla riunione (invito inoltrato solo alle persone realmente interessate) con un chiaro orario di inizio e fine (una specie di chimera soprattutto in Italia) e che sappia anche enfatizzata l’importanza di arrivare preparati (altro insulto all’italico primato dell’improvvisazione). Immaginiamo anche che Evaristo sappia condurre la riunione: dia il giusto tempo a tutti, mantenga una certa disciplina (niente email durante il meeting ad esempio) e si sforzi di compilare un piano d’azione alla fine. Meglio di niente. Eppure le possibilità che la riunione comunque non funzioni sono alte.
Perché? Perché non è solo un problema di persone ma anche di situazione e di architettura della riunione. Facciamo quindi alcune considerazioni:
  1. Le riunioni non sono tutte uguali: ci sono la riunione informativa, la riunione per trovare un accordo, la riunione per prendere decisioni, quella per risolvere i problemi, quella creativa e di recente si sono affacciate alla ribalta due nuovi tipi di riunione: quella per “fare chiarezza” o per “svelare la complessità” (di particolare importanza in un momento come questo caratterizzato da volatilità, incertezza, ambiguità, complessità e cambiamenti rapidi) e quella per “annusare il futuro”, insomma immaginare scenari, trend, sfide e difficoltà prima ancora che siano evidenti.
  2. Come per ogni lavoro di bricolage esiste l’attrezzo giusto anche per le riunioni, data la varietà, esistono i giusti attrezzi da mettere in campo per ottenere l’obiettivo. Sedersi attorno ad un tavolo e semplicemente “parlare” del tema non è uno strumento, e spesso non porta a niente. Bisogna quindi cominciare a pensare in termini di riunione centrata sullo strumento (o più di uno ovviamente).
  3. L’engagement delle persone è spesso basso e si sa che il 20% dei partecipanti parla l’80% del tempo. Avere uno strumento aiuta a focalizzare lo sforzo di tutti e ad evitare pericolose derive. E per tenere il punto con tutti normalmente lo strumento deve essere visual e quindi capace di catalizzare lo sforzo e la discussione di tutti e di creare ingaggio  e coinvolgimento attraverso le sue dinamiche. Deve insomma mettere in moto le persone, incuriosirle e farle alzare dalle sedie.

In sintesi, soprattutto quando le sfide sono importanti, bisogna abbandonare il concetto vecchio di riunione  spenta come la luce dei neon ed il colore della moquette in cui le persone giacciono abbandonate ed esauste sulle poltrone e cominciare a ragionare in termini di “evento” operativo in cui i risultati sono una conseguenza di un buon processo e soprattutto dell’ingaggio delle persone che dovranno essere messe in azione con i giusti strumenti e dovranno sentirsi sfidate, stimolate e perché no divertite dal momento. Non facile certo. Ma quali sono i rischi di non cambiare?

martedì 10 marzo 2015

SAVE the DATE 20 Aprile - mastering the action Demo



Le richieste del mondo della formazione aziendale sono cambiate:
10 anni fa richieste tipiche erano: organizzazione, preparazione, capacità negoziali, public speaking, vendita, management, gestione del tempo, assertività.

Oggi sempre più spesso invece viene chiesto di lavorare su temi come:coraggio, responsabilità, flessibilità, agilità (mentale), determinazione, creatività, capacità di assorbire le discontinuità, gestione del se.

Non che le competenze richieste in precedenza abbiano perso valore. Ma oggi vengono date un po' per scontate ed il nuovo terreno da gioco è altro. Come mai?

Viviamo in quello che qualcuno chiama V.U.C.A. world (Volatility - Uncertainty - Complexity - Ambiguity) dove non conta più quello che sappiamo (che è comunque "vecchio" o destinato a diventarlo) ma quello che siamo, con le nostre doti "umane" più nobili che tornano in primo piano. Bisogna insomma ripartire dall'uomo.
Come lavorare su questo nuovo piano? Quali modalità di lavoro possiamo affiancare a quelle più tradizionali?

Per questa sfida abbiamo sviluppato ed ampiamente testato un approccio innovativo, di impatto, flessibile ed inconsueto che consente di lavorare in modo diverso sui talenti personali: "Mastering the Action".

Cliccare qui per vedere una presentazione dell'approccio

Solo per professionisti realmente interessati si svolgerà a Milano una Demo del metodo il 20 Aprile, dalle 14.00 alle 17.00.


 L'iscrizione è obbligatoria e la demo gratuita. Contattateci a: 
 info@otherwise.it

lunedì 5 gennaio 2015

Intanto nel mondo degli “uffici”…


Buon 2015. Tempo di tornare alle nostre scrivanie ormai e quindi mi sembrava simpatico proporre una carrellata di alcune cose che stanno succedendo nel mondo proprio sul tema “ufficio”, inteso come spazio fisico. Così, giusto per creare un po’ di frustrazione visto che in Italia, su questi temi, tendiamo a rimanere un po’ indietro :-)

Alla Red Bull di Londra si può passare da un piano all’altro usando degli scivoli. E l’arredamento è pazzesco. http://www.designverb.com/2006/08/22/red-bull-hq-london-whoohoooo/

La Brooklyn Boulders Somerville è una combinazione tra una palestra di arrampicata e un posto di lavoro collaborativo. Le persone lavorano in mezzo al caos, possono fare un break per esercitarsi, ed apparentemente lo amano. https://www.youtube.com/watch?v=b2qoiUWfWM4

Anche nel settore pubblico si può fare innovazione: Mindlab è uno spazio per meeting disponibile a tutti gli impiegati. E’ al “Ministry of Economic and Business Affairs” a Copenhagen. Il cuore della struttura è una grande stanza a forma di uovo in cui tutte le pareti sono di fatto delle lavagne su cui poter scrivere. http://www.servicedesignmaster.com/visit-to-mind-lab.html

Ad Amsterdam uno studio di design, che appare normale durante il giorno, alle 6 in punto scompare. Qualcuno gira una chiave e le scrivanie vengono inghiottite dal soffitto con tutto quello che c’è sopra. Una misura drastica per garantire la famosa worklife balance che al nord è presa davvero sul serio. Lo spazio può essere ancora usato certo, ma per attività sociali e varie diverse dal solito lavoro alla scrivania. https://www.youtube.com/watch?v=44pMjNtMw-Q

In espansione il mercato delle scrivanie “alte” per lavorare in piedi (ne abbiamo parlato qui). In commercio da Chairigami una scrivania in cartone comoda e robusta che costa solo 65$. Ed  anche l’Ikea ha creato una simpatica scrivania reversibile https://www.youtube.com/watch?v=Yyl2NvKIK7M

Gli open space hanno vantaggi e svantaggi, se ne è discusso ampiamente. Ed uno dei problemi è che certe categorie di persone soffrono veramente a lavorare in mezzo agli altri e alla confusione. Per ovviare a questo problema una azienda di forniture per ufficio in (Steel case) in collaborazione con Susan Cain (autrice di Quiet: The Power of Introverts in a World That Can't Stop Talking) hanno deciso di disegnare degli spazi che consentano a chi ha bisogno di trovare un attimo di pace e silenzio.


Molto interessati le soluzioni create da Teamlab per la  pixiv, una community di artisti ed illustratori giapponesi. Scrivanie e spazi davvero belli e creativi. http://www.designboom.com/design/teamlab-designs-pixiv-office-with-250m-interactive-work-desk-01-29-2014/

Chiudiamo con la Oakley, che ha fatto del claim “disruptive by design” il suo cavallo di battaglia. Per spingere una cultura legata all’innovazione e alla “disruption” non è possibile pare lavorare in uffici marroni e grigi con la pianta di ficus fantozziana. Ed effettivamente molti studi confermano l’impatto sulla produttività e sulla creatività dello spazio in cui si opera. Ed il nuovo centro Oakley è esemplare da questo punto di vista. https://www.youtube.com/watch?v=yfwogdOWfqE

Buon rientro

Paolo Mazzaglia