Le riunioni sono una perdita di
tempo. Sono noiose. Lunghe discussioni sterili. Mi invitano ma non c’entro. Perché
l’abbiamo fatta? Non si prendono decisioni. Non c’è follow up. Non c’è un
agenda. Nessuno fa niente dopo. Si
dicono tante cosa ma poi non cambia niente. Rubano tempo al lavoro.
Siamo
nel 2015 e ancora si sentono dire le medesime cose quando si parla
dell’argomento. Eppure negli ultimi dieci anni sono usciti articoli, libri,
video su come fare buone riunioni da una parte e quanto sia penoso farle male
dall’altra. Ad esempio il tema dell’ importanza dell’agenda è stata ampiamente
discusso e condiviso, così come quello di una buona conduzione e della
necessità di avere un piano d’azione. E ancora le riunioni sono fonte di
frustrazione e noia. Perché?
Ora facciamo finta che il nostro manager,
chiamiamolo Evaristo, sappia già tutto quello che di base bisogna sapere:
ovvero che è fondamentale inviare un agenda assieme all’invito alla riunione
(invito inoltrato solo alle persone realmente interessate) con un chiaro orario
di inizio e fine (una specie di chimera soprattutto in Italia) e che sappia
anche enfatizzata l’importanza di arrivare preparati (altro insulto all’italico
primato dell’improvvisazione). Immaginiamo anche che Evaristo sappia condurre
la riunione: dia il giusto tempo a tutti, mantenga una certa disciplina (niente
email durante il meeting ad esempio) e si sforzi di compilare un piano d’azione
alla fine. Meglio di niente. Eppure le possibilità che la riunione comunque non
funzioni sono alte.
Perché? Perché
non è solo un problema di persone ma anche di situazione e di architettura
della riunione. Facciamo quindi alcune considerazioni:
- Le riunioni non sono
tutte uguali: ci sono la riunione informativa, la riunione per trovare un
accordo, la riunione per prendere decisioni, quella per risolvere i problemi,
quella creativa e di recente si sono affacciate alla ribalta due nuovi tipi di
riunione: quella per “fare chiarezza” o per “svelare la complessità” (di
particolare importanza in un momento come questo caratterizzato da volatilità,
incertezza, ambiguità, complessità e cambiamenti rapidi) e quella per “annusare
il futuro”, insomma immaginare scenari, trend, sfide e difficoltà prima ancora
che siano evidenti.
- Come per ogni lavoro
di bricolage esiste l’attrezzo giusto anche per le riunioni, data la varietà,
esistono i giusti attrezzi da mettere in campo per ottenere l’obiettivo.
Sedersi attorno ad un tavolo e semplicemente “parlare” del tema non è uno
strumento, e spesso non porta a niente. Bisogna quindi cominciare a pensare in termini
di riunione centrata sullo strumento (o più di uno ovviamente).
- L’engagement delle persone è spesso basso e si sa che il 20% dei partecipanti parla l’80% del tempo. Avere uno strumento aiuta a focalizzare lo sforzo di tutti e ad evitare pericolose derive. E per tenere il punto con tutti normalmente lo strumento deve essere visual e quindi capace di catalizzare lo sforzo e la discussione di tutti e di creare ingaggio e coinvolgimento attraverso le sue dinamiche. Deve insomma mettere in moto le persone, incuriosirle e farle alzare dalle sedie.
In
sintesi, soprattutto quando le sfide sono importanti, bisogna abbandonare il
concetto vecchio di riunione spenta come
la luce dei neon ed il colore della moquette in cui le persone giacciono
abbandonate ed esauste sulle poltrone e cominciare a ragionare in termini di
“evento” operativo in cui i risultati sono una conseguenza di un buon processo
e soprattutto dell’ingaggio delle persone che dovranno essere messe in azione
con i giusti strumenti e dovranno sentirsi sfidate, stimolate e perché no
divertite dal momento. Non facile certo. Ma quali sono i rischi di non cambiare?