domenica 3 maggio 2015

Tre cose ancora da dire riguardo alle riunioni


Le riunioni sono una perdita di tempo. Sono noiose. Lunghe discussioni sterili. Mi invitano ma non c’entro. Perché l’abbiamo fatta? Non si prendono decisioni. Non c’è follow up. Non c’è un agenda.  Nessuno fa niente dopo. Si dicono tante cosa ma poi non cambia niente. Rubano tempo al lavoro.

Siamo nel 2015 e ancora si sentono dire le medesime cose quando si parla dell’argomento. Eppure negli ultimi dieci anni sono usciti articoli, libri, video su come fare buone riunioni da una parte e quanto sia penoso farle male dall’altra. Ad esempio il tema dell’ importanza dell’agenda è stata ampiamente discusso e condiviso, così come quello di una buona conduzione e della necessità di avere un piano d’azione. E ancora le riunioni sono fonte di frustrazione e noia. Perché?

Ora facciamo finta che il nostro manager, chiamiamolo Evaristo, sappia già tutto quello che di base bisogna sapere: ovvero che è fondamentale inviare un agenda assieme all’invito alla riunione (invito inoltrato solo alle persone realmente interessate) con un chiaro orario di inizio e fine (una specie di chimera soprattutto in Italia) e che sappia anche enfatizzata l’importanza di arrivare preparati (altro insulto all’italico primato dell’improvvisazione). Immaginiamo anche che Evaristo sappia condurre la riunione: dia il giusto tempo a tutti, mantenga una certa disciplina (niente email durante il meeting ad esempio) e si sforzi di compilare un piano d’azione alla fine. Meglio di niente. Eppure le possibilità che la riunione comunque non funzioni sono alte.
Perché? Perché non è solo un problema di persone ma anche di situazione e di architettura della riunione. Facciamo quindi alcune considerazioni:
  1. Le riunioni non sono tutte uguali: ci sono la riunione informativa, la riunione per trovare un accordo, la riunione per prendere decisioni, quella per risolvere i problemi, quella creativa e di recente si sono affacciate alla ribalta due nuovi tipi di riunione: quella per “fare chiarezza” o per “svelare la complessità” (di particolare importanza in un momento come questo caratterizzato da volatilità, incertezza, ambiguità, complessità e cambiamenti rapidi) e quella per “annusare il futuro”, insomma immaginare scenari, trend, sfide e difficoltà prima ancora che siano evidenti.
  2. Come per ogni lavoro di bricolage esiste l’attrezzo giusto anche per le riunioni, data la varietà, esistono i giusti attrezzi da mettere in campo per ottenere l’obiettivo. Sedersi attorno ad un tavolo e semplicemente “parlare” del tema non è uno strumento, e spesso non porta a niente. Bisogna quindi cominciare a pensare in termini di riunione centrata sullo strumento (o più di uno ovviamente).
  3. L’engagement delle persone è spesso basso e si sa che il 20% dei partecipanti parla l’80% del tempo. Avere uno strumento aiuta a focalizzare lo sforzo di tutti e ad evitare pericolose derive. E per tenere il punto con tutti normalmente lo strumento deve essere visual e quindi capace di catalizzare lo sforzo e la discussione di tutti e di creare ingaggio  e coinvolgimento attraverso le sue dinamiche. Deve insomma mettere in moto le persone, incuriosirle e farle alzare dalle sedie.

In sintesi, soprattutto quando le sfide sono importanti, bisogna abbandonare il concetto vecchio di riunione  spenta come la luce dei neon ed il colore della moquette in cui le persone giacciono abbandonate ed esauste sulle poltrone e cominciare a ragionare in termini di “evento” operativo in cui i risultati sono una conseguenza di un buon processo e soprattutto dell’ingaggio delle persone che dovranno essere messe in azione con i giusti strumenti e dovranno sentirsi sfidate, stimolate e perché no divertite dal momento. Non facile certo. Ma quali sono i rischi di non cambiare?