mercoledì 5 febbraio 2014

Al diavolo gli accademici: mettiamo in campo le emozioni

Qualche tempo fa durante un evento mi trovo a parlare con un manager. Mi racconta che in azienda lo hanno appena passato di ruolo spostandolo dal marketing alle vendite, campo in cui non ha esperienza.
Occupandomi io di formazione e sviluppo anche in ambito vendite (ed essendo un venditore io stesso) mi propongo di aiutarlo. Lui mi rassicura dicendo che ha già fatto un corso sul mondo delle vendite in una prestigiosa business school Italiana. Io controbatto che quello che ha sperimentato è molto diverso da quello che offriamo noi. E lui si rivela confuso e sgomento? In che senso diverso? Ho visto tutti i modelli possibili in quel corso…

Qui stiamo parlando di vendita, ma lo stesso discorso vale per la leadership, il management, la gestione del tempo e via dicendo. Esistono le prestigiose business school di gran nome e di gran richiamo dove tutti questi programmi sono erogati e con grande successo. Ora niente da dire riguardo quei modelli. E più il nostro lavoro è “tecnico” più ci possono essere utili. Eppure per esperienza ho conosciuto leader e venditori veramente “colti” riguardo ai contenuti del loro lavoro che falliscono miseramente alla prova dei fatti (e disastrosi assessment o analisi a 360° lo confermano). Come mai?

La risposta è semplice: c’è un enorme differenza tra quello che sappiamo (come venditori o leader) e quello che poi realmente facciamo. In altre parole molti professionisti sanno teoricamente quello che andrebbe fatto e detto. Ma non sono pronti, capaci o abituati a tradurre un modello in un comportamento semplice e concreto e soprattutto a sopportare il disagio emotivo, la paura, il rischio e l’incertezza di fare quello che andrebbe fatto.
La vera sfida in sintesi non è quella del sapere o non sapere. Ma del saper essere in concreto e nel trovare il coraggio di andare oltre le nostre abitudini ed i nostri comportamenti concreti e di “sopportare” il disagio che questo implica.

Questo passaggio non potrà mai avvenire a livello teorico. Bisogna fare, impaurirsi, vergognarsi, sudare, riprovare, arrabbiarsi, rimanerci male, e riprovarci ancora. Per tornare all’esempio con cui siamo partiti come può un manager dirigere una forza vendita senza aver provato la pressione che un cliente ti mette addosso, la sensazione di fallimento di quando non chiudi, la difficoltà di presentare al meglio il tuo prodotto in un mondo di competitor tutti uguali? Solo con la pratica saremo in grado di ampliare la nostra gamma di possibilità comportamentali. E la vera formazione serve proprio a questo: a fare allenamento prima di buttarsi nel mondo reale, aumentare la preparazione al gesto concreto, allo scontro emotivo, al disagio.


Con questo non voglio dire che la preparazione “teorica” non abbia una sua utilità. Ma rimarrà molto marginale se non si forza il passaggio alla pratica. E tale passaggio deve obbligatoriamente passare attraverso momenti di disagio e “fatica” emozionale. La verità è purtroppo che poche persone, sempre meno da una personale statistica, hanno voglia di sottoporsi a questo processo di messa in gioco. E’ molto più confortevole mettersi seduti e godersi (o sopportare) lunghe presentazioni di business cases e magari fare qualche esercizio giocando coi numeri con un foglio di carta. E poter scrivere sul curriculum che si è fatto quel corso presso quella prestigiosa scuola. Il titolo e l’apparenza prima di tutto. La sostanza è una cosa che pare non ci riguardi.

Paolo Mazzaglia