venerdì 26 febbraio 2016

Lo strano matrimonio tra il design thinking e i meeting strategici


I meeting sono una noia colossale ed un tormento in azienda. Da una parte le cattive abitudini degli italiani (che riescono ad arrivare in ritardo anche ad un meeting per parlare di come migliorare la puntualità dei meeting) e che non smettono di scrivere email e messaggi dicendo “parlate parlate tanto io vi ascolto” ( non funziona in generale e ,come le donne ben sanno, tanto meno se chi lo dice è un maschio che due cose assieme proprio non sa fare ). Dall’altra la pessima organizzazione degli stessi: obiettivi poco chiari, invitati che son li solo perché “fa brutto non invitarli” e via dicendo. Tutti li patiscono, tutti si lamentano ma si fa poco a riguardo. Come mai?
Il peccato è “originale”. Prima infatti di mettere alla berlina i cattivi comportamenti delle persone bisogna pensare al contesto, all’ambiente, alla dinamica di meeting e wrkshop. Se un partecipante ha il tempo e la voglia di scrivere email durante il meeting i problemi sono fondamentalmente due: da una parte non gli interessa quello che si sta dicendo (e quindi cosa ci fa li?), dall’altra non è coinvolto fattivamente (e quindi cosa ci fa li?). Sono entrambi problemi di design del meeting stesso.
Ormai non basta più infatti arraffazzonare una agenda e un po’ di colleghi per discutere e parlare attorno al tavolo. A maggior ragione quando la posta in gioco è alta. La nuova virtuosa tendenza colta da chi è più avanti è quella di trattare un meeting come un mini evento, che va disegnato in tutte le sue parti.
In sostanza bisogna chiarire molto bene:
-qual è l’obiettivo finale del meeting e quali sono i sotto obiettivi che ci consentiranno di raggiungerli
-in quale “modalità” di meeting siamo (noi ne identifichiamo sei di base che “montate” tra loro coprono ogni tipo di bisogno)
-come “accendere” il fuoco ed ingaggiare, motivare, ispirare, informare dinamicamente i partecipanti
-come alternare le fasi divergenti e le fasi convergenti tipiche del “design thinking”
-quali strumenti operativi (preferibilmente visuali) usare per condurre le singole fasi del meeting in modo operativo e collaborativo
-chi invitare e in quale momento del meeting farlo intervenire
Infine, soprattutto se parliamo di meeting o workshop strategici, la qualità della sala è particolarmente importante. Lo spazio esterno si riflette sullo spazio mentale delle persone, ed è difficile chiedere di essere “illuminati” da idee creative in uno spazio stretto e buio. Serve luce quindi (una location con una luce fantastica è 10watt a Milano), e spazio a sufficienza per svolgere i lavori operativi di cui un buon meeting dovrebbe essere ricco. Se poi il meeting è in formato “visual collaboration” avere pareti o metaplan a disposizione per affiggere gli strumenti visuali, oltre che ad una buona proiezione ed un buon impianto audio, diventa fondamentale.
Purtroppo una mentalità vecchia porta a non occuparsi dei meeting in questo modo (“è lavoro, non deve essere piacevole per forza no?”) e vengono trascurate sia la preparazione, sia gli strumenti, sia la location. Resta solo come spesso accade la voglia di lamentarsi. Peccato, perché oggi non ci sono più scuse ed esistono sia le location sia  le metodologie per creare in poche semplici mosse meeting concreti e di grande coinvolgimento (la nostra metodologia si chiama Visactivation e la potete trovare qui). Forse il blocco è mentale, forse sembra più complicato e costoso di quello che è nella realtà (quanto costano però ad una azienda le ore di lavoro sprecate in meeting improduttivi?). In ogni caso torna facilmente alla memoria il vecchio detto: “l’essenza della follia è fare le stesse cose allo stesso modo e sperare in un risultato diverso”.
Paolo Mazzaglia