“E’
già stato inventato tutto l’inventabile”
Questa frase è attribuita da numerose fonti a Charles H. Duell, responsabile ufficio brevetti degli Stati
Uniti, nel 1899. Ma poco importa, perché siamo tutti un po’ il Charles e
diremmo o penseremmo la stessa cosa se ci sfidassero a proporre un idea per un
prodotto o servizio davvero innovativo. Di fronte al nuovo infatti sentiamo la
classica tensione da pagina bianca e ci sembra impossibile arrivare ad un idea
un minimo originale. A volte la sfida ci irrita, altre la evitiamo
semplicemente dichiarando “io non sono uno creativo” (di solito seguito da “ho
altre qualità serie, ad esempio…”). Questa impossibilità a concepire il nuovo sparisce
istantaneamente quando ci mettono sotto il naso l’invenzione del momento, ed è allora che scatta un meccanismo simile a quello che
scatta quando un prestigiatore rivela un suo trucco: proviamo un senso di
ovvietà. Come a dire “certo, ovvio, lo avrei potuto pensare anche io”. Quasi banale. Ora, la mia tesi è che
certo, certo, potevi pensarlo (e farlo )
anche tu…ma intanto non lo hai ne pensato ne fatto. Perché? Il nodo cruciale
dell’innovazione è tutto qui. Di fatto spesso quando ci presentano una buona
nuova idea la “riconosciamo” all’istante, come se fosse sempre stata dentro di
noi. Perché allora non riusciamo a
vederla noi per primi? Cosa ci rende ciechi? E perché è importante lottare per
liberarsi da questo velo che abbiamo davanti agli occhi?
Cominciamo
rispondendo alla seconda domanda. Come mai, tra tutte le rogne che dobbiamo
sopportare nella vita, dovremmo caricarci anche della responsabilità di essere
innovatori? E perché proprio noi, che abbiamo magari un normale lavoro in
azienda e non siamo certo membri del team di ricerca e sviluppo di Google o di
Apple? Andando per ordine…
Bisogna innovare per scappare dalla gara al massacro della competizione. La
competizione sfrenata porta a fare battaglie costose di prezzo e costi,
riducendo i margini, spremendo le persone come limoni, tagliano i costi senza
creare davvero nuovo valore. L’approccio opposto è stato descritto benissimo qualche
anno fa dal libro “Oceano Blu”: Kim & Mauborgne affermano che le compagnie
possono avere successo non battendo i rivali, ma piuttosto creando "oceani
blu" negli spazi di mercato inesplorati. Attraverso queste mosse
strategiche, si crea un salto di qualità nel valore dell'impresa, nei suoi
clienti e nei dipendenti, mentre si sblocca nuova domanda e si riduce la
competizione a qualcosa di irrilevante. (fonte Wikipedia). Consiglio la lettura
del libro "strategia oceano blu" per chi non lo avesse ancora fatto.
Bisogna innovare per evitare di diventare “rane bollite”. La triste e
notissima metafora è la seguente: immaginiamo
una pentola con dell’acqua fredda. In essa, è stata immersa una rana, che
subito inizierà a nuotare in maniera tranquilla. Un fuoco è acceso sotto la
pentola, e l’acqua si riscalda, piano piano. Dopo un po’ l’acqua è tiepida. La
rana la trova ancora piuttosto gradevole, e continua a nuotare senza alcun disturbo.
La temperatura sale ancora. Adesso l’acqua è calda. Lo è un pochino più di
quanto la rana apprezzi. Ma l’animaletto non si spaventa ancora, perché non
percepisce alcun pericolo.
Passa del tempo e l’acqua diventa
davvero troppo calda. La rana la trova ora molto sgradevole, ma si è oramai
indebolita. Non ha più la forza di reagire: cerca di sopportare il calore
troppo elevato e non fa nulla per rimediare alla situazione, che comincia a
farsi pericolosa per la sua salute. Intanto, la temperatura sale ancora, fino
al momento in cui la rana finisce… bollita!
Se la stessa rana fosse stata immersa
direttamente nell’acqua calda o addirittura bollente, avrebbe dato un colpo di
zampe e sarebbe balzata subito fuori dalla pentola. O almeno ci avrebbe
provato. Avrebbe cioè subito percepito una situazione di pericolo che
necessitava di un cambiamento urgente.
Questa storia ci mostra che, quando un cambiamento si realizza in modo
lento, sfugge alla nostra coscienza e non suscita – per la maggior parte del
tempo – nessuna nostra reazione o opposizione. Un cambiamento lento, cioè
un’abitudine che si acquisisce pian piano, rappresenta sempre un potenziale
rischio, se non siamo perfettamente vigili sulla direzione che stiamo
prendendo. Rane bollite celebri sono state la Kodak, che ha insistito nel
investire nel core business delle pellicole mentre piano piano si diffondeva la
fotografia digitale, Blockbuster che non ha saputo intercettare il pericolo
della tv via satellite (ed oggi dello streaming video), la Mivar, piccola
eccellenza nella produzione di televisioni a tubo catodico che si è rifiutata
di accettare la rivoluzione dello schermo digitale.
Bisogna innovare non solo per intercettare e non soccombere ai
cambiamenti lenti ma anche per reagire a quelli dirompenti. Oggi viviamo in
“tempi esponenziali e fenomeni quali le app, la nuove funzionalità disponibili,
il cloud, i social network, lo shopping online, la disintermediazione possibile
(basti pensare alle agenzie di viaggio tradizionali messe in crisi profonda dalla
semplicità di acquistare aerei e pacchetti online, ma anche alle banche che
cominciano giustamente ad allarmarsi) fanno si che interi mercati vengano
spazzati via in pochi anni o anche mesi. Un paio di esempi? What’s up, il noto
sistema di messaggistica, che è passato da 0 a 450 milioni di utenti in 4
anni(1), ha messo fortemente in crisi il mercato seppur giovane degli sms. Oppure a google maps, un applicazione
gratuita basata sul cloud che ha messo in grande difficoltà i produttori
tradizionali di navigatori, come Tom Tom o Garmin.
Ed infine bisogna innovare, e riguarda tutti, per rendere il mondo un posto migliore.
(1) Fonte Big Bang Disruption –
Larry Downes e Paul Nunes