domenica 28 agosto 2016

Il bello di sbagliare


Tutti hanno paura di sbagliare. Spesso per le conseguenze pratiche (rifare il lavoro) ma più spesso per un mix di paure psicologiche spesso irrazionali. “Cosa penseranno gli altri?”, “cosa ne sarà della mia carriera?”. Qualcuno è letteralmente terrorizzato dall’errore tanto da essere quasi bloccato, e questa paura lo rende quindi lento ed ansioso, che non è un bel mix data l’importanza della velocità e dell’ardimento richiesti dal business di oggi. E poi c’è qualcuno che letteralmente gode nel vedere sbagliare gli altri, nel trovare gli errori. Si riconoscono suvito…sono quelli che mentre fai vedere una presentazione, magari bellissima, aprono bocca solo per farti notare, gonfi di soddisfazione, che c’è un errore (se avete notato “suvito” scritto prima potreste essere uno di loro ). E di questo talento ne fanno un vanto. Certo direte voi…il diavolo è nei dettagli e i dettagli fanno la differenza e quindi deve essere tutto impeccabile. Si forse e vero e…

E se oggi fare, provare e sbagliare fosse più importante del fare le cose perfette?

Se la capacità di vedere prima la big picture prima di infognarsi nei dettagli fosse un talento fondamentale per la leadership?

Molti autori di fatto ritengono la capacità di fare errori in modo costruttivo un talento fondamentale. Ad esempio Elon Mush, grande visionario Co-fondatore di PayPal & Tesla Motors dice “Fallire qui è possibile. Se le cose non falliscono allora significa che non stai innovando abbastanza!”. E lo stesso Einstein diceva “se non hai mai fatto un errore non hai mai provato a fare qualcosa di nuovo”. Perché di fatto la capacità di innovare è strettamene legata alla capacità di concedersi di sbagliare. Anzi di sbagliare “in avanti”, ovvero ad ogni sbaglio capire qualcosa di nuovo, imparare e migliorare. Di fatto pare che questo sia un  mantra della silicon valley che fa dell’innovazione il suo punto di forza. La frase di John C. Maxwell “fallisci in fretta, fallisci spesso, fallisci in avanti” riassume perfettamente lo spirito di chi sa creare davvero nuovo valore e sa farlo in fretta. 

E nella cara vecchia azienda italiana come vanno le cose? Malissimo. La paura dell’errore serpeggia grazie all’indefesso operato di manager (ma sarebbe più appropriato chiamarli “capi” come ho sentito qualcuno autodefinirsi) che puniscono, censurano, terrorizzano e generano a loro volta altri fondamentalisti del “tutto giusto”. Questa atmosfera è (blandamente) sostenibile solo in un ambiente di business stabile e “as usual”. Peccato che gli stessi “capi” sono oggi chiamati a fare innovazione come tutti gli altri e purtroppo il loro mindset e l’atmosfera di paura dell’errore ammazza la creatività sul nascere. Con aumento generale della frustrazione. Mentre il vero talento di un manager oggi è quello di creare il giusto campo da gioco dove i “colleghi” (non più i “sottoposti” fantozziani) possano sperimentare in libertà, fare, provare e finalmente generare nuovo valore. A tutto vantaggio dell’azienda e della motivazione delle persone che possono esprimere meglio il loro potenziale. O mi sbaglio?