Tutti hanno paura di sbagliare. Spesso
per le conseguenze pratiche (rifare il lavoro) ma più spesso per un mix di
paure psicologiche spesso irrazionali. “Cosa penseranno gli altri?”, “cosa ne
sarà della mia carriera?”. Qualcuno è letteralmente terrorizzato dall’errore
tanto da essere quasi bloccato, e questa paura lo rende quindi lento ed
ansioso, che non è un bel mix data l’importanza della velocità e dell’ardimento
richiesti dal business di oggi. E poi c’è qualcuno che letteralmente gode nel
vedere sbagliare gli altri, nel trovare gli errori. Si riconoscono suvito…sono
quelli che mentre fai vedere una presentazione, magari bellissima, aprono bocca
solo per farti notare, gonfi di soddisfazione, che c’è un errore (se avete
notato “suvito” scritto prima potreste essere uno di loro ). E di questo
talento ne fanno un vanto. Certo direte voi…il diavolo è nei dettagli e i
dettagli fanno la differenza e quindi deve essere tutto impeccabile. Si forse e
vero e…
E se oggi fare, provare e sbagliare
fosse più importante del fare le cose perfette?
Se la capacità di vedere prima la big
picture prima di infognarsi nei dettagli fosse un talento fondamentale per la
leadership?
Molti autori di fatto ritengono la
capacità di fare errori in modo costruttivo un talento fondamentale. Ad esempio
Elon Mush, grande visionario Co-fondatore di PayPal & Tesla Motors dice “Fallire
qui è possibile. Se le cose non falliscono allora significa che non stai
innovando abbastanza!”. E lo stesso Einstein diceva “se non hai mai fatto un
errore non hai mai provato a fare qualcosa di nuovo”. Perché di fatto la capacità
di innovare è strettamene legata alla capacità di concedersi di sbagliare. Anzi
di sbagliare “in avanti”, ovvero ad ogni sbaglio capire qualcosa di nuovo,
imparare e migliorare. Di fatto pare che questo sia un mantra della silicon valley che fa
dell’innovazione il suo punto di forza. La frase di John C. Maxwell “fallisci
in fretta, fallisci spesso, fallisci in avanti” riassume perfettamente lo
spirito di chi sa creare davvero nuovo valore e sa farlo in fretta.
E nella
cara vecchia azienda italiana come vanno le cose? Malissimo. La paura
dell’errore serpeggia grazie all’indefesso operato di manager (ma sarebbe più
appropriato chiamarli “capi” come ho sentito qualcuno autodefinirsi) che
puniscono, censurano, terrorizzano e generano a loro volta altri fondamentalisti
del “tutto giusto”. Questa atmosfera è (blandamente) sostenibile solo in un
ambiente di business stabile e “as usual”. Peccato che gli stessi “capi” sono
oggi chiamati a fare innovazione come tutti gli altri e purtroppo il loro
mindset e l’atmosfera di paura dell’errore ammazza la creatività sul nascere. Con
aumento generale della frustrazione. Mentre il vero talento di un manager oggi
è quello di creare il giusto campo da gioco dove i “colleghi” (non più i “sottoposti”
fantozziani) possano sperimentare in libertà, fare, provare e finalmente
generare nuovo valore. A tutto vantaggio dell’azienda e della motivazione delle
persone che possono esprimere meglio il loro potenziale. O mi sbaglio?