lunedì 26 marzo 2012

Una nuova professione: il “risponditore” di email



L’ho visto succedere. Un collega ha alzato il telefono spazientito per chiamare un altro collega…perché non stava rispondendo alla sua email abbastanza velocemente. Questo semplice fatto è la punta dell’iceberg di un grande fraintendimento inconscio…ovvero l’email NON è uno strumento di comunicazione istantaneo. Solo che in tanti, troppi lo considerato tale…ed è uno dei motivi per cui ci spazientiamo se non ci rispondono in fretta e che sentiamo la pulsione di rispondere velocemente ed immediatamente ad ogni richiesta.

Eppure tutti i sacri testi sulla gestione del tempo e sulla produttività personale concordano sull’opportunità di non vivere incollati alla casella di posta, di tenerla addirittura chiusa di quando in quando, e di smaltire le varie email in momenti ben definiti della giornata dedicati. Proporlo suscita reazioni violentissime di rifiuto…le persone all’idea di tenere chiusa per mezz’ora la casella di posta o inorridiscono o fanno capire che esiste un entità superiore che si aspetta da loro proprio di rispondere istantaneamente pena le fiamme dell’inferno. C’è poi chi dice con innocenza “ma è il mio lavoro rispondere alle mail”. Mi chiedo che effetto farebbe questo titolo sotto il nome sul biglietto da visita…

Mario Rossi
Email responder

Eppure nonostante le resistenze il fatto resta…l’email non è uno strumento di comunicazione istantanea. Lo sono invece i programmi di istant messaging (usati con successo in tante grandi organizzazioni), la visita dal vivo e la cara vecchia telefonata. Che per altro siamo comunque costretti a fare quando il nostro interlocutore non risponde alla nostra mail velocemente come da storia all’inizio del post. Sarà ormai troppo tardi per imparare ad usare l’email in modo migliore?


domenica 18 marzo 2012

Sessi, lavoro e cordialità


Secondo i risultati di una ricerca condotta su 1200 persone (660 uomini e 540 donne) tra il 2001 e il 2009* le donne italiane sul posto di lavoro stanno diventando sempre più simili agli uomini: ovvero più fredde e calcolatrici.
Sempre secondo la ricerca per le donne è stato registrato un calo sia per quello che riguarda l’empatia che per la sensibilità e cordialità. Per gli uomini è salita la sensibilità ed è invece ulteriormente crollata la cordialità.

Se prendiamo per buoni i risultati della ricerca possiamo trarre due grossolane conclusioni:
1) Il posto del lavoro è diventato un ambiente a cordialità tendente allo zero
2) Gli uomini stanno diventando sensibili e scortesi (mentre una volta erano cortesi ed insensibili? Può darsi)
3) Le donne nella lecita battaglia per la parità stanno trascurando o perdendo di vista alcune delle loro qualità più belle.

Riguardo all’ultimo punto mi viene da pensare che parità non significa conformità e forse è proprio vero che le donne dirigenti,  non avendo un proprio modello di leadership “storico” hanno dovuto scimmiottare gli uomini. Assorbendo i molti difetti della categoria. In questa nuova  era  è forse ora che si trovino un nuovo modello di leadership costruito sulle loro qualità e che valorizzi le differenze naturali tra i sessi. 

E sui “maschi” al lavoro che dire? Come si stanno trasformando, cosa stanno perdendo e cosa stanno guadagnando?

*Cofimp, Società di alta formazione di Unindustria Bologna 



domenica 11 marzo 2012

Come rendere drasticamente più brevi le riunioni



Sono sempre tante le cose che vorremmo cambiare al lavoro. Una di queste e senz’altro la piaga delle riunioni…troppe e soprattutto troppo lunghe e dispersive. Come risolverlo? Certo si possono sensibilizzare le persone all’importanza di arrivare preparati (e in orario) e si può insegnare al leader a gestire la discussione con polso più fermo. Si può utilizzare un “meeting cost clock” per far sapere a tutti quanto costa la riunione in tempo reale (ne trovate uno qui). E comunque tutte queste misure tendono a funzionare per un po’ e poi le vecchie abitudini tornano a vincere. Infatti cambiare significa non solo abbandonare una vecchia abitudine ma instillarne una nuova e positiva. E per farlo sovente ci si sforza molto con scarsi risultati. Un messaggio importante passato dal bel libro “Switch” di Chip e Dan Heath è invece che spesso i cambiamenti sono più facili di quello che sembra e che sembra un problema di persone è spesso un problema di situazione. Un approccio innovativo ed altamente efficace per ridurre la durata e migliorare l'efficacia delle riunioni è ad esempio quella di farle in piedi in una stanza senza sedie.

Questa strategia è stata utilizzata con successo dal generale William Pagonis, che dirigeva le operazioni logistiche durante la guerra del golfo. La sua responsabilità era enorme e complessa…muovere 550.000 soldati, smaltire 32.000 tonnellate di posta, pompare 5 miliardi di litri di carburante e così via…Aveva bisogno di una grande efficienza ed efficacia nelle riunioni. Ed ecco che tra le 8.00 e le 8.30 ogni mattina riuniva il suo staff, rigorosamente in piedi, per scambiare informazioni e fare il punto sulla situazione. Secondo le sue stesse parole questo faceva si che chi aveva qualcosa da dire lo dicesse velocemente e poi passasse la parola ad un altro. E se qualcuno si dilungava più del dovuto erano le proteste degli stessi colleghi a riportarlo in carreggiata. Questo espediente oltre a risolvere nell’immediato il problema ha avuto anche il vantaggio di creare un’abitudine di sintesi ed efficacia tra le persone. E  anche questa come ogni buona abitudine installata non se ne sarebbe andata velocemente.

Se immagino una tipica riunione italiana in cui uno parla proiettando decine di noiose slides e gli altri mandano incessantemente mail stravaccati sulle comodissime poltrone da ufficio con il blackberry tenuto seminascosto sotto il tavolo l’idea non solo mi sembra valida, ma anche sadicamente necessaria.
Di fronte ad una situazione da cambiare vale la pena sempre quindi fermarsi un attimo e chiedersi se ci sono strade più semplici ed immediate oltre a quelle che stiamo già esplorando. A volte cambiando un dettaglio possiamo veicolare grandi cambiamenti.

Minimalismo, logorroici e poesia II


“la vita è come una scultura: bisogna togliere”.
Mauro Corona


Dicevamo nel post precedente che se tutti amiamo la capacità di essere sintetici negli altri non per forza siamo in grado di essere sintetici noi. Eppure la capacità di essere chiari ed efficaci in poco tempo (e con poche parole) è fondamentale oggi in cui le finestre di attenzione sono sempre più piccole. Diciamoci la verità: quanto tempo ci danno colleghi, capi o clienti per presentare le nostre idee? E soprattutto quanto di quel tempo è fatto di vera attenzione e quanto fatto di un automatico annuire mentre con i pensieri si è già all’impegno successivo o magari alla lista della spesa? Quindi è importante essere elegantemente sintetici.
Allora come fare? E perché per qualcuno sembra un’ impresa impossibile e disperata? Devo dire che manca letteratura a riguardo ( o almeno io non l’ho trovata per adesso ) ma abbondando le ipotesi e le interpretazioni. La più semplice è che innanzitutto abbiamo tutti un gran bisogno di essere ascoltati, e visto che l’ascolto non arriva spontaneo ce lo prendiamo. Non troppo distante da questa prima idea è quella per cui la “logorrea” sia dettata innanzitutto dall’ansia: quella di passare in secondo piano, di essere ignorati, di perdere il palcoscenico rubato da altri. E allora niente spazio per nessuno…il palco è mio finché parlo. Altre riflessioni possono venire dal modo in cui elaboriamo i pensieri. Di fatto poiché la nostra mente conscia può solo dirigere la sua attenzione ad un certo quantitativo di informazioni, in un dato momento abbiamo dei programmi interni che l'individuo utilizza (spesso a livello non consapevole) per decidere verso cosa ed in che modo dirigere la sua attenzione. E a volte questi programmi interni ci “obbligano” a dilungarci su aspetti non cruciali rispetto a quello di cui stiamo parlando. C’è chi ad esempio infarcisce i discorsi di riferimenti al tempo, chi parla ossessivamente di posti ed aggiunge riferimenti geografici a quello che dice. Chi parla di cose e chi preferisce fare costantemente riferimento alle persone. Niente di male in realtà se non che a volte questo porta ad inutili allungamenti del discorso. Facciamo un esempio:
Domanda: quale software possiamo usare per fare questo lavoro?
Risposta (di chi ama fare riferimento alle persone): guarda, una volta è venuto a trovarci in ufficio un amico del mio capo, Mario, quello di cui ti parlavo che si è sposato due volte e la seconda moglie Caterina è una cugina alla lontana del premier Indiano….comunque questo tipo, Luca, ci aveva raccontato di un suo collega, un tipo bizzarro pare ma un genio dell’informatica che lavora sempre da solo in una baita in Trentino, e ci aveva detto che lui era particolarmente affezionato a Dreamweaver per questo tipo di applicazioni.
Bene, interessante, soprattutto davanti ad una birra in una situazione di relax. Forse in un contesto lavorativo era sufficiente dire “mi hanno parlato bene di Dreamweaver”. Sicuramente meno ricco, sicuramente più efficace. Insomma capita che non sappiamo dare le giuste priorità alle giuste informazioni.
Sempre fantasticando sui motivi per cui non riusciamo ad essere sintetici non dobbiamo dimenticarci di uno fondamentale, che in realtà ci accomuna tutti. In sostanza ci dilunghiamo e sbrodoliamo perché stiamo riflettendo su un tema ad alta voce. E lo stiamo facendo in quel momento perché non l’abbiamo fatto prima. In sostanza non siamo preparati e come diceva qualcuno “mi ci vogliono due minuti per preparare un discorso di due ore, e due ore per preparare un discorso di due minuti”.
Quali soluzioni quindi per imparare ad essere più sintetici?
E sarà possibile sviluppare questa fondamentale qualità?
Ne discuteremo prossimamente.