giovedì 17 aprile 2014

Aaaaa la felicitàààà


Da cosa dipende la nostra felicità? Da dove viene? Uno dei più grandi esperti sul tema è Martin Seligman, il padre della “psicologia positiva” ha una risposta interessante e devo dire “sensata”. Sostiene infatti che per il 60% dipende dalla nostra genetica e dal nostro ambiente, mentre il restante 40% dipende esclusivamente da noi: da come ci poniamo e da cosa facciamo in sintesi. Se non è tutto e sicuramente una bella fetta. Approfondiamo.
In un TED talk del 2004 Seligman distingueva tre tipi di vita felice:

1)     La vita piacevole: una vita in cui cerchi e ti procuri quante più emozioni positive possibili. Riguarda il trovare quanto di meglio c’è sul mercato in termini di “piacevolezze” e lo sviluppare le capacità per “procurarsi” queste piacevolezze e gustarle al meglio. Mi viene in mente la ricerca della bellezza, dei lussi, dei cibi raffinati, delle location meravigliose e via dicendo. Pare che questo tipo di vita abbia però alcuni inconvenienti. Il primo dei quali è che l’esperienza delle emozioni positive è ereditario. Incredibile ma le ricerche mostrano che per ben il 50% la capacità di godere dei piaceri non dipende da noi e non è modificabile e quindi tutti i trucchi e gli espedienti che possiamo mettere in campo per aumentare i “piaceri” nelle nostre vite possono aumentare la nostra felicità per massimo il 15-20%. Un altro inconveniente è che ci si abitua velocemente alle emozioni positive ed anche questo è un fattore su cui possiamo fare poco (basti pensare al piacere di un primo sorso di birra rispetto al decimo).

2)     La “buona vita” o vita dell’impegno: in cui ti dedichi al lavoro, alla famiglia o ai tuoi hobby con la massima dedizione ed il massimo impegno. Quello che le persone sperimentano in questo tipo di vita è il famoso “flow*”, sono completamente nel momento, sono “uno” con quello che stanno facendo ed il tempo si ferma. La buona notizia è che si può lavorare attivamente per raggiungere questo traguardo: bisogna imparare a scoprire e conoscere quali sono i nostri veri punti di forza, e costruire una vita centrata su di questi.

3)     La vita con un “significato”: ovvero come nel caso precedente conoscere quali sono i tuoi punti di forza e metterli al servizio di qualcosa di più grande di te. Una missione, una visione. Come aiutare gli altri o servire una causa.

Esplorando quello che davvero conta per la vera soddisfazione Seligman scopre che la ricerca del piacere ha pochissimo a che vedere con una duratura sensazione di appagamento. Non che sia da buttare via certo, ma il suo ruolo è più quello della “ciliegina sulla torta” più che essere la torta stessa. Aggiunge dolcezza ad una vita soddisfacente fondata sull’impegno e sul significato.

Per trasportare i concetti in azienda possiamo chiederci: quanto valgono veramente le promesse motivanti di una macchina aziendale nuova o dell’ultimo pc o telefonino? Sicuramente c’è gente che vive e muore (metaforicamente) per quelli che sono, secondo il discorso precedente, semplici piaceri. Ma quanto durano? Non è forse meglio dedicarsi a cercare quali sono i veri talenti delle persone e cercare di trovare un modo perché possano metterli a frutto nel migliore dei modi? I vantaggi sarebbero innanzitutto maggior impegno e dedizione. E contemporaneamente potremmo dare alle persone una solida base per essere davvero soddisfatte nel lungo termine. Non mi sembra poco.

Paolo Mazzaglia