Da
cosa dipende la nostra felicità? Da dove viene? Uno dei più grandi esperti sul
tema è Martin Seligman,
il padre della “psicologia positiva” ha una risposta interessante e devo dire
“sensata”. Sostiene infatti che per il 60% dipende dalla nostra genetica e dal
nostro ambiente, mentre il restante 40% dipende esclusivamente da noi: da come
ci poniamo e da cosa facciamo in sintesi. Se non è tutto e sicuramente una
bella fetta. Approfondiamo.
In
un TED talk del 2004 Seligman distingueva tre tipi di vita felice:
1)
La vita piacevole: una vita in cui cerchi e ti procuri quante
più emozioni positive possibili. Riguarda il trovare quanto di meglio c’è sul
mercato in termini di “piacevolezze” e lo sviluppare le capacità per
“procurarsi” queste piacevolezze e gustarle al meglio. Mi viene in mente la
ricerca della bellezza, dei lussi, dei cibi raffinati, delle location
meravigliose e via dicendo. Pare che questo tipo di vita abbia però alcuni
inconvenienti. Il primo dei quali è che l’esperienza delle emozioni positive è
ereditario. Incredibile ma le ricerche mostrano che per ben il 50% la capacità
di godere dei piaceri non dipende da noi e non è modificabile e quindi tutti i
trucchi e gli espedienti che possiamo mettere in campo per aumentare i “piaceri”
nelle nostre vite possono aumentare la nostra felicità per massimo il 15-20%.
Un altro inconveniente è che ci si abitua velocemente alle emozioni positive ed
anche questo è un fattore su cui possiamo fare poco (basti pensare al piacere
di un primo sorso di birra rispetto al decimo).
2)
La “buona vita” o vita dell’impegno: in cui ti dedichi al
lavoro, alla famiglia o ai tuoi hobby con la massima dedizione ed il massimo
impegno. Quello che le persone sperimentano in questo tipo di vita è il famoso
“flow*”, sono completamente nel momento, sono “uno” con quello che stanno
facendo ed il tempo si ferma. La buona notizia è che si può lavorare
attivamente per raggiungere questo traguardo: bisogna imparare a scoprire e
conoscere quali sono i nostri veri punti di forza, e costruire una vita
centrata su di questi.
3)
La vita con un “significato”: ovvero come nel caso precedente
conoscere quali sono i tuoi punti di forza e metterli al servizio di qualcosa
di più grande di te. Una missione, una visione. Come aiutare gli altri o
servire una causa.
Esplorando
quello che davvero conta per la vera soddisfazione Seligman scopre che la
ricerca del piacere ha pochissimo a che vedere con una duratura sensazione di
appagamento. Non che sia da buttare via certo, ma il suo ruolo è più quello
della “ciliegina sulla torta” più che essere la torta stessa. Aggiunge dolcezza
ad una vita soddisfacente fondata sull’impegno e sul significato.
Per
trasportare i concetti in azienda possiamo chiederci: quanto valgono veramente
le promesse motivanti di una macchina aziendale nuova o dell’ultimo pc o
telefonino? Sicuramente c’è gente che vive e muore (metaforicamente) per quelli
che sono, secondo il discorso precedente, semplici piaceri. Ma quanto durano?
Non è forse meglio dedicarsi a cercare quali sono i veri talenti delle persone
e cercare di trovare un modo perché possano metterli a frutto nel migliore dei
modi? I vantaggi sarebbero innanzitutto maggior impegno e dedizione. E
contemporaneamente potremmo dare alle persone una solida base per essere davvero
soddisfatte nel lungo termine. Non mi sembra poco.