domenica 7 aprile 2019

Poetici vs Pratici


Ci sono due tipi di persone. Quelli che mettono delle etichette e quelli che non lo fanno. 

Permettetemi di estremizzare per semplificare. Dopo aver incontrato in relazioni professionali di vario tipo centinaia di persone mi sento di dividere l’umanità in due campi da gioco.

Quelli pieni di poesia (vedi valori, ideali, ricercatori di senso e bellezza) e quelli pieni di praticità.

Quelli pieni di praticità e privi di poesia sono appunto pratici, sul pezzo, puntuali, affidabili, efficaci. Hanno l’unico lato negativo che conversare con loro dà la stessa soddisfazione di farlo con il cancello di casa ed è difficile se non impossibile sollevarsi dalle paludi del pensiero a breve termine. Un manager con questo profilo farà micromanagement appunto e probabilmente si accollerà un bel po’ di lavoro dei suoi collaboratori, motivandoli poco se non blandamente (con un esempio un po' da convento) e passerà ore a scrivere report o su fogli excel. I personaggi a questo estremo irritano quando portano a terra,  o anche sotto terra, ogni anelito di creatività, bellezza o strategia a lungo respiro.  Sono quelli che coinvolti in corsi di formazione vogliono la risoluzione del loro problema con la pompa idraulica del carrello elevatore e non parlare di etica valori senso o arte. Concreti e piacevoli come una colata di cemento armato in un prato di primavera.

Quelli pieni di poesia e privi di praticità sono persone piacevoli davanti ad un bicchiere di vino. Sono spesso poco ingaggiate e un po' snob perché tutto per loro è vagamente insoddisfacente data l’altezza dei loro pensieri e del loro modo sublime di vedere la vita. Non rispondono alle email, non sono puntuali, non sono affidabili. Magari brillanti socialmente ma operativamente una palla al piede. Un manager così farà discorsi motivazionali per poi lasciare i collaboratori con l’annoso compito di districare i fili ed uscire dai gineprai (per essere eleganti). Durante i corsi di formazione preferiscono l'oroscopo a concetti pragmatici e se fai loro i tarocchi parlando della ricchezza dei loro sogni li hai conquistati. I personaggi a questo estremo sono irritanti quando ti guardano dall’alto in basso dall'alto della loro finta torre d'avorio su cui si sono posti senza per altro aver dimostrato poco o nulla del loro valore fino a quel momento. Aerei, inconsistenti e noiosi come l’afa estiva in città.

C’è sempre un unico punto che mette d’accordo anche i più estremisti. Tutti vogliono essere pagati in tempo ed in modo concreto (si, anche quelli pieni di poesia). E tutti pensano di non essere stati pagati abbastanza.


Per fortuna ogni tanto si incontra qualche persona meravigliosa che riesce a stare a metà campo. Questo post è dedicato a loro.

Paolo Mazzaglia

lunedì 7 gennaio 2019

Let's do it better


Mettiamo il caso che io voglia parlarvi del sandwich. Potrei farlo in due modi:

  1. Potrei dirvi che il Sandwich indica in italiano un piccolo panino imbottito preparato con un pane intero di impasto molto morbido aperto orizzontalmente e farcito in vario modo.La sua invenzione risale al XVIII secolo da parte dell’uomo politico britannico John Montagu, conte di Sandwich.

  1. Oppure potrei raccontarvi di come, nel 1748 , John Montagu quarto conte di Sandwich, amasse talmente tanto giocare a carte che di rado si alzava per mangiare. Così gli venne un’ idea di farsi portare delle fette di carne tra due fette di pane, cosa che gli consentiva di mangiare e giocare allo stesso tempo. Gli altri giocatori di carte imitandolo cominciarono ad ordinare ai suoi servitori che portassero anche a loro dei “sandwiches”. E così questo modo di mangiare divenne una delle più popolari invenzioni alimentari del mondo occidentale.


Il primo modo cita semplicemente dei fatti. Il secondo modo trasforma i fatti in una piccola storia. Quale delle due forme vi è piaciuta di più? E quale probabilmente userete per parlare con altri del sandwich? Questo è uno dei molti esempi che ci fanno rendere conto di quanto lo storytelling sia importante e potente. Visto che se ne parla tanto ultimamente verrebbe da pensare che sia un hype del momento ma difatto da sempre lo storytelling è per l’uomo quello che l’acqua è per i pesci. Ci viviamo e ci siamo costantemente vissuti dentro fin dalla nostra infanzia. Ma lo storytelling non è, appunto, solo raccontare storie ai bambini per farli addormentare, anzi, di fatto permea ogni aspetto della nostra società e del nostro lavoro. I film e le serie tv sono storytelling ed infatti le amiamo molto fino a fare vere e proprie indigestioni. La letteratura classicamente è storytelling. Le pubblicità sia attraverso gli spot ma anche attraverso altri mezzi raccontano storie che ci vogliono accendere il desiderio di un prodotto o servizio e spingerci all’azione. Le interazioni umane sono permeate di storie: quelle che raccontiamo riguardo alle nostre esperienze, quello che abbiamo visto o vissuto ed anche quello di cui abbiamo sentito parlare (si anche il pettegolezzo è una sorta di storia). Ogni volta che facciamo una presentazione aziendale in un modo o nell’altro stiamo facendo storytelling così come quando ci presentiamo ad un colloquio di assunzione o chiacchieriamo ad una cena con amici o sconosciuti. 

Dai discorsi alla macchina del caffè in azienda a quelli dei politici, dalle chiacchiere dal  barbiere fino alle grandi campagne pubblicitarie…ogni volta che ci sono interazioni umane lo storytelling è presente (si stima che oltre il 65% delle interazioni umane prenda questa forma). La domanda quindi non è se fare o meno storytelling, che ci piaccia o no se siamo uomini e frequentiamo uomini già lo facciamo. Piuttosto è giusto chiedersi: “lo stiamo facendo nel modo giusto?”.