martedì 30 agosto 2011

Minimalismo, logorroici e poesia



Computer, abbiamo portato le batterie? Computer? - Eileen Gun

L’ascolto, quello vero, altrimenti detto attivo, è un tema molto comune durante i corsi di formazione. L’idea è di avere un atteggiamento (e la giusta intenzione) tale da invogliare l’altro ad esprimersi fino in fondo, senza interruzioni. Quasi sempre a questo punto dello sviluppo del tema qualche partecipante salta su dicendo “ok va bene ascoltare, va bene farlo finire. Ma se non finisce? Io ho un altro problema…come si fa invece ad interrompere un logorroico? Io ho un collega che non finisce più di parlare…potrebbe andare avanti per ore…”.
Pare quindi che il problema, quello sentito qui da noi in Italia, non sia quello di invogliare gli altri ad esprimersi…ma quello di impedire che si “esprimano” troppo e una piccolissima analisi statistica fatta in casa rileva come almeno ciascuno di noi abbia almeno un amico o collega che parla come un fiume in piena.

La sintesi è un dono insomma molto apprezzato negli altri. Qualcuno dice che è addirittura un'arte. Tanto che è un cimento cui talvolta si applicano gli scrittori. È molto famoso, ad esempio, il racconto in sei parole di Ernst Hemingway: "For sale: baby shoes, never worn" (se non lo avete mai letto ci può volere un attimo per comprenderlo fino in fondo).

Passando da occidente ad oriente poi non si può ignorare la peculiarità tutta giapponese di fare del “minimalismo” un punto centrale di pittura, cucina, design e letteratura. In particolare è noto l’haiku, un componimento poetico composto da tre versi: cinque, sette e ancora cinque sillabe. Nessun titolo, nessun fronzolo lessicale né congiunzioni, ispirato alle suggestioni della natura e delle stagioni. Per via dell'estrema brevità la composizione richiede una spaventosa sintesi di pensiero e d'immagine. Per noi occidentali (e forse ancor di più per noi Italiani) può risultare un po’ difficile da apprezzare. Forse per il nostro gusto tutto latino per il tanto, il chiassoso, l’apparente, il voluminoso. Eppure nella comunicazione apprezziamo quando gli altri sanno essere sintetici…perché? Forse perché la loro sintesi permette a noi stessi di parlare finalmente, senza limiti e senza freni? E in sintesi perché è così difficile essere sintetici ed efficaci allo stesso tempo? Cosa serve per rendere vero il famoso detto “less is more”? Su cosa dobbiamo investire per essere un po’ più zen e meno roboanti e noiosi per gli altri? Esploderei il tema adesso ma ho paura di dilungarmi :-)

Intanto però consiglio un paio di link in cui si è lanciata la sfida della sintesi. Ad esempio la rivista Wired ha chiesto a 33 scrittori di romanzi, di fantascienza, autori per la tv, per il cinema e per i videogiochi a raccontare una storia con solo 6 (sei) parole, congiunzioni comprese, ecco il link: http://www.wired.com/wired/archive/14.11/sixwords.html

Anche la Feltrinelli ha lanciato (siamo alla II° edizione) una gara di sintesi in cui bisogna riassumere il libro o il film amato in 128 battute spazi inclusi. Si possono leggere al seguente indirizzo http://www.128battute.com/

Sono letture interessanti, divertenti e...brevi!