venerdì 24 giugno 2016

Talenti, finestre e massacri




Sono giovani, tra i 30 ed i 35 anni. Laureati e masterizzati, vestiti casual sempre alla moda o affogati in attillati abiti blu grigi e neri con le cravatte ben strette. Pettinati e tirati come dobermann.  A volte li chiamano giovani talenti ( a discapito di chi “talento” non è chiamato…giusto per mettere in chiaro le differenze da subito ). Le aziende li formano, investono. Organizzano ormai solo per loro corsi di formazione, perché i manager, quelli veri, chi li vede più in aula? I manager quelli veri al limite vanno alle business school se ha il nome di prestigio. Per il resto…E comunque i giovani talenti arrivano ai corsi anche con 30’ di ritardo al mattino, come se fosse naturale. Del resto magari i loro manager (quelli che sanno come si vive e lavora) hanno appena indetto una riunione alle 7.30 finita poco fa. Arrivano parlando al cellulare a cui sono cablati anima e corpo. Non se ne separano mai. Appena entrati in aula ( a volte ti salutano a volte no ) cercano come un naufrago una sedia ed immediatamente aprono il PC. Sono stanchi, a volte polemici ma più frequentemente rassegnati. 
Quando proponi delle normali idee per una miglior vita aziendale dicono “bello, ma da noi non si può”. Non è uno scherzo…da noi non si può uscire in orario  se no ti dicono “oggi fai mezza giornata?”. Non si possono fare slides con grandi immagini e poco testo che poi ti dicono “è poco professionale e bisogna far vedere i dati”. Non si può essere propositivi perché ti dicono “prima di parlare in riunione devi aspettare almeno 5 anni”. Non ci si può divertire al lavoro altrimenti “sembra che non sei produttivo”. Sono persone preparate, intelligenti e massacrate. Gli hanno insegnato o a tenere la testa bassa o ad essere iper operativi e fare, fare, fare. Pensare è considerato una perdita di tempo. Hanno asciugato i loro sogni i grandi manager che vanno alle business school. Le loro vocazioni ed intenzioni sono relitti incagliati nei fogli excel in cui tengono costantemente immerso lo sguardo. 
Quando il corso finisce non vanno a casa, tornano in ufficio, in riunione. E quando finalmente si fa una pausa non pensano a chiacchierare, non pensano a corteggiare le colleghe o a bere un caffè. Non si alzano neanche dalle sedie, aprono il PC e via a scrivere e scrivere con lo sguardo fisso al monitor. E invece secondo me l’unica finestra che un ragazzo di 30 anni dovrebbe fissare durante una pausa è quella attraverso cui si vede l’orizzonte lontano.