Prendiamo due professionisti Ernesto ed
Evaristo. Entrambi hanno le stesse competenze di organizzazione e gestione del
tempo, diciamo che hanno addirittura frequentato assieme un corso di Time
Management e fanno lo stesso lavoro. Eppure hanno un approccio all’organizzazione
personale completamente diversa. Ernesto è disciplinato ed organizzato,
comincia le giornate con precise to do list, la sua agenda sul telefono è
sempre aggiornata e sincronizzata con quella del PC. Appena prende un impegno
lo segna e si blocca in agenda anche il tempo della preparazione. Impossibile
che si dimentichi di qualcosa. E quando un impegno è in agenda lotta per
difenderlo e per non farlo mangiare da altre attività. Se si chiede la
disponibilità ad Ernesto per un meeting o per un progetto controlla
immediatamente l’agenda e da sicura disponibilità, che manterrà fino alla
morte. Evaristo non usa l’agenda sul pc e si porta in giro una classica agenda
di carta. Spesso però la dimentica e fa affidamento alla memoria, a volte
sbagliando. Se si chiede la disponibilità ad Evaristo per un meeting o per un progetto bisogna
aspettare ore o a volte giorni prima di avere una risposta. E qual appuntamento
sarà facilmente sacrificato se qualcosa di più importante compare
all’orizzonte. Risultato? Ernesto è sempre intasato di lavoro, spesso fa tardi
la sera e lavora il week end. Evaristo è molto meno intasato ed in generale più
rilassato. Da dove viene la differenza visto che, come abbiamo detto, entrambi
i personaggi hanno le stesse competenze di base?
Comincio a pensare che i classici strumenti
di gestione del tempo non centrino niente, e che sia una questione di emozioni,
gestione dello stress, responsabilità e forse valori. Nella complessità del
lavoro attuale non si tratta solo più di mettere in fila le attività ed è
facile il consenso nel dare importanza ad una consegna ad un cliente. Meno
nell’ordinare la quantità di attività tangibili o spesso intangibili che
compongo il mosaico del “lavoro” moderno.
Se si tratta di emozioni è evidente che il
nostro Ernesto è molto più spaventato dall’imprevisto e dall’idea di farsi
trovare impreparato. E sicuramente vive con disagio l’idea di non essere
affidabile e preciso e di tirare fregature al prossimo. Evaristo invece non
vive questo disagio emozionale e forse la sua vera paura è quella di sentirsi
troppo imbrigliato in una rete di attività che magari non ritiene neanche fondamentali.
Se quindi parliamo di stress (organizzativo e legato al tempo e ai progetti) mi
pare si possa dire che Ernesto lo carica tutto su di se, mentre Evaristo non
accettandolo finisce per scaricarlo sugli altri. Ed ecco che per parlare
seriamente di gestione del tempo bisogna necessariamente fare un viaggio nel
nostro sistema di valori, emozionale e “filosofico”. Non cosa è importante “fuori”, ma cosa è “importante”
dentro. Un corso sul Time Management moderno non può più occuparsi della
pianificazione e basta (tra l’altro destinata comunque a saltare) ma deve
cominciare a prendere in analisi il mondo interiore delle persone.