domenica 25 aprile 2010

La creatività nasce dall'ansia



"Non pretendiamo che le cose cambino se continuiamo a farle nello stesso modo.
La crisi è la miglior cosa che possa accadere a persone e interi paesi perché è proprio la crisi a portare il progresso. La creatività nasce dall' ansia, come il giorno nasce dalla notte oscura. È nella crisi che nasce l' inventiva, le scoperte e le grandi strategie. Chi supera la crisi supera se stesso senza essere superato.
Chi attribuisce le sue sconfitte e i suoi errori alla crisi, violenta il proprio talento e rispetta più i problemi che le soluzioni. La vera crisi è la crisi dell' incompetenza. Lo sbaglio delle persone e dei paesi è la pigrizia nel trovare soluzioni. Senza crisi non ci sono sfide, senza sfide la vita è routine, una lenta agonia. Senza crisi non ci sono meriti. E' nella crisi che il meglio di ognuno di noi affiora perché senza crisi qualsiasi vento è una carezza. Parlare di crisi è creare movimento; adagiarsi su di essa vuol dire esaltare il conformismo.
Invece di questo, lavoriamo duro! L' unica crisi minacciosa è la tragedia di non voler lottare per superarla…”


Ecco cosa diceva Albert Einstein circa 60 anni fa. Bello e attuale. Forse perché alla fine i problemi delle persone sono sempre gli stessi. E il loro atteggiamento può, anni fa come oggi, fare la differenza.

domenica 11 aprile 2010

Piccolo è il nuovo grande



Non possiamo fare grandi cose, solo piccolo cose con grande amore.
Madre Teresa


E’ una domanda classica: “quanto è grande la vostra azienda?”. Domanda indipendente dal fatto che la vostra azienda sia davvero “vostra” oppure semplicemente ci lavoriate. Ed è classica la reazione “wow” se la risposta è “siamo grandi, 1000 persone”. Tipico ragionamento anni 80 in cui il valore è rappresentato dal “quanto”. Peccato che i tempi siano leggermente cambiati e forse possiamo cominciare a liberarci della machistica ossessione della “grandezza” per ragionare in termini diversi. Soprattutto per gli uomini, un passaggio difficilissimo :-)

Ma cosa perderemmo nel passaggio da un’organizzazione grande ad una piccola?
Innanzitutto la possibilità di passare anni ed anni nell’ombra senza prenderci davvero la responsabilità del nostro lavoro e di dare sempre la colpa a qualcun altro. La possibilità di sentirci un piccolo ingranaggio in una macchina vastissima e quindi di poterci lamentare degli ingranaggi grandi usando l’atteggiamento “io non ci posso fare niente”. E di fronte ai clienti la possibilità di non essere ossessionati da un rapporto emotivamente impegnativo sempre con le solite persone che poi “pretendono” e usare la facile scappatoia di sfuggire loro, facendoli rimbalzare tra mille uffici o stordirli con la giustificazione di rigide procedure. E poi se si è grandi si può sempre tornare piccoli, basta “tagliare”.
A parte gli scherzi, se da una parte le piccole aziende sognano di diventare grandi, spesso le grandi cercano il graal della leggerezza e della flessibilità. Che potranno trovare solo in piccolissima parte…come dire che anche se un elefante si mette a dieta e comincia a fare stretching tutti i giorni, sarà comunque meno abile ad arrampicarsi sugli alberi di una scimmia.
E oltre alla solita ossessione per il prezzo per i clienti, ci sono due altri imperativi da soddisfare: flessibilità e fiducia. Flessibilità perché come già ripetuto da molte fonti, la velocità del cambiamento è esponenziale. Fiducia perché data la velocità e complessità del business, un cliente evita volentieri di dover stare dietro anche ai fornitori per assicurarsi qualità tempi e servizi congrui.
Come si conquista dunque la fiducia? Con la relazione con le persone e non inserendo codici in una pagina web o scandendo le parole ad un operatore automatico. E comunque anche parlare con un impiegato o dirigente che sente su di sé il fardello di un imminente processo di “ridimensionamento” non comunica una buona impressione. Ricordiamoci che le emozioni passano anche attraverso la cornetta.

Questa rifocalizzazione sul piccolo pare sia avvenuta soprattutto nel paese tradizionalmente del “grande”: gli Stati Uniti. Di sicuro la recente crisi finanziaria ha fatto perdere fiducia nelle grandi organizzazioni e infatti secondo alcuni sondaggi alla domanda “cosa ci porterà ad un futuro migliore?” gli “small business” sono al primo posto seguiti da tecnologia e con un grosso distacco dai seguenti “governo” e “grandi aziende” Come diceva Prince “Sign of the times”.
Basta quindi con questa ossessione per la grandezza (che per altro si riflette anche nelle dimensioni delle auto più desiderate). Non che crescere sia un male, ma il "come" forse è diventato più importante del "cosa e del quanto" e in certi casi essere e restare piccoli potrebbe essere addirittura più di un passaggio verso qualcosa d’altro.

Potrebbe essere l’obiettivo per cominciare davvero a fare “altrimenti”.

domenica 4 aprile 2010

Ancora sugli obiettivi e la ricerca della via



Semplificando possiamo dire che il focus sulla "destinazione" è una fissazione tipicamente occidentale. Essere nel momento e concentrarci sul cammino una visione forse più orientale. La tensione è antica e attualissima secondo me. Ed è descritta magnificamente da un brano di Pirsing nel famosissimo "Lo zen e l'arte della manutenzione della motocicletta"

"Vivere soltanto in funzione di una meta futura è sciocco. E' sui fianchi delle montagne, non sulla cima, che si sviluppa la vita. Ma evidentemente senza la cima non si possono avere i fianchi. E' la cima che determina i fianchi. E così saliamo..."

Che si possano riconcilare in qualche modo le due visioni del mondo?
Buona Pasqua a tutti!