domenica 25 settembre 2011

Minimalismo, logorroici e poesia 2


“la vita è come una scultura: bisogna togliere”.
Mauro Corona


Dicevamo nel post precedente che se tutti amiamo la capacità di essere sintetici negli altri non per forza siamo in grado di essere sintetici noi. Eppure la capacità di essere chiari ed efficaci in poco tempo (e con poche parole) è fondamentale oggi in cui le finestre di attenzione sono sempre più piccole. Diciamoci la verità: quanto tempo ci danno colleghi, capi o clienti per presentare le nostre idee? E soprattutto quanto di quel tempo è fatto di vera attenzione e quanto fatto di un automatico annuire mentre con i pensieri si è già all’impegno successivo o magari alla lista della spesa? Quindi è importante essere elegantemente sintetici.
Allora come fare? E perché per qualcuno sembra un’ impresa impossibile e disperata? 

Devo dire che manca letteratura a riguardo ( o almeno io non l’ho trovata per adesso ) ma abbondando le ipotesi e le interpretazioni. La più semplice è che innanzitutto abbiamo tutti un gran bisogno di essere ascoltati, e visto che l’ascolto non arriva spontaneo ce l’ho prendiamo. Non troppo distante da questa prima idea è quella per cui la “logorrea” sia dettata innanzitutto dall’ansia: quella di passare in secondo piano, di essere ignorati, di perdere il palcoscenico rubato da altri. E allora niente spazio per nessuno…il palco è mio finché parlo. Altre riflessioni possono venire dal modo in cui elaboriamo i pensieri. Di fatto poiché la nostra mente conscia può solo dirigere la sua attenzione ad un certo quantitativo di informazioni, in un dato momento abbiamo dei programmi interni che l'individuo utilizza (spesso a livello non consapevole) per decidere verso cosa ed in che modo dirigere la sua attenzione. E a volte questi programmi interni ci “obbligano” a dilungarci su aspetti non cruciali rispetto a quello di cui stiamo parlando. C’è chi ad esempio infarcisce i discorsi di riferimenti al tempo, chi parla ossessivamente di posti ed aggiunge riferimenti geografici a quello che dice. Chi parla di cose e chi preferisce fare costantemente riferimento alle persone. Niente di male in realtà se non che a volte questo porta ad inutili allungamenti del discorso. Facciamo un esempio:

Domanda: quale software possiamo usare per fare questo lavoro?
Risposta (di chi ama fare riferimento alle persone): guarda, una volta è venuto a trovarci in ufficio un amico del mio capo, Mario, quello di cui ti parlavo che si è sposato due volte e la seconda moglie Caterina è una cugina alla lontana del premier Indiano….comunque questo tipo, Luca, ci aveva raccontato di un suo collega, un tipo bizzarro pare ma un genio dell’informatica che lavora sempre da solo in una baita in Trentino, e ci aveva detto che lui era particolarmente affezionato a Dreamweaver per questo tipo di applicazioni.

Bene, interessante, soprattutto davanti ad una birra in una situazione di relax. Forse in un contesto lavorativo era sufficiente dire “mi hanno parlato bene di Dreamweaver”. Sicuramente meno ricco, sicuramente più efficace. Insomma capita che non sappiamo dare le giuste priorità alle giuste informazioni.

Sempre fantasticando sui motivi per cui non riusciamo ad essere sintetici non dobbiamo dimenticarci di uno fondamentale, che in realtà ci accomuna tutti. In sostanza ci dilunghiamo e sbrodoliamo perché stiamo riflettendo su un tema ad alta voce. E lo stiamo facendo in quel momento perché non l’abbiamo fatto prima. In sostanza non siamo preparati e come diceva qualcuno “mi ci vogliono due minuti per preparare un discorso di due ore, e due ore per preparare un discorso di due minuti”.
Quali soluzioni quindi per imparare ad essere più sintetici?
E sarà possibile sviluppare questa fondamentale qualità?
Ne discuteremo prossimamente.

martedì 30 agosto 2011

Minimalismo, logorroici e poesia



Computer, abbiamo portato le batterie? Computer? - Eileen Gun

L’ascolto, quello vero, altrimenti detto attivo, è un tema molto comune durante i corsi di formazione. L’idea è di avere un atteggiamento (e la giusta intenzione) tale da invogliare l’altro ad esprimersi fino in fondo, senza interruzioni. Quasi sempre a questo punto dello sviluppo del tema qualche partecipante salta su dicendo “ok va bene ascoltare, va bene farlo finire. Ma se non finisce? Io ho un altro problema…come si fa invece ad interrompere un logorroico? Io ho un collega che non finisce più di parlare…potrebbe andare avanti per ore…”.
Pare quindi che il problema, quello sentito qui da noi in Italia, non sia quello di invogliare gli altri ad esprimersi…ma quello di impedire che si “esprimano” troppo e una piccolissima analisi statistica fatta in casa rileva come almeno ciascuno di noi abbia almeno un amico o collega che parla come un fiume in piena.

La sintesi è un dono insomma molto apprezzato negli altri. Qualcuno dice che è addirittura un'arte. Tanto che è un cimento cui talvolta si applicano gli scrittori. È molto famoso, ad esempio, il racconto in sei parole di Ernst Hemingway: "For sale: baby shoes, never worn" (se non lo avete mai letto ci può volere un attimo per comprenderlo fino in fondo).

Passando da occidente ad oriente poi non si può ignorare la peculiarità tutta giapponese di fare del “minimalismo” un punto centrale di pittura, cucina, design e letteratura. In particolare è noto l’haiku, un componimento poetico composto da tre versi: cinque, sette e ancora cinque sillabe. Nessun titolo, nessun fronzolo lessicale né congiunzioni, ispirato alle suggestioni della natura e delle stagioni. Per via dell'estrema brevità la composizione richiede una spaventosa sintesi di pensiero e d'immagine. Per noi occidentali (e forse ancor di più per noi Italiani) può risultare un po’ difficile da apprezzare. Forse per il nostro gusto tutto latino per il tanto, il chiassoso, l’apparente, il voluminoso. Eppure nella comunicazione apprezziamo quando gli altri sanno essere sintetici…perché? Forse perché la loro sintesi permette a noi stessi di parlare finalmente, senza limiti e senza freni? E in sintesi perché è così difficile essere sintetici ed efficaci allo stesso tempo? Cosa serve per rendere vero il famoso detto “less is more”? Su cosa dobbiamo investire per essere un po’ più zen e meno roboanti e noiosi per gli altri? Esploderei il tema adesso ma ho paura di dilungarmi :-)

Intanto però consiglio un paio di link in cui si è lanciata la sfida della sintesi. Ad esempio la rivista Wired ha chiesto a 33 scrittori di romanzi, di fantascienza, autori per la tv, per il cinema e per i videogiochi a raccontare una storia con solo 6 (sei) parole, congiunzioni comprese, ecco il link: http://www.wired.com/wired/archive/14.11/sixwords.html

Anche la Feltrinelli ha lanciato (siamo alla II° edizione) una gara di sintesi in cui bisogna riassumere il libro o il film amato in 128 battute spazi inclusi. Si possono leggere al seguente indirizzo http://www.128battute.com/

Sono letture interessanti, divertenti e...brevi!

domenica 22 maggio 2011

Dormire verso il successo



“Dormici sopra!”. Mai sentito? Sicuramente nella vita ci è stato detto e forse lo abbiamo consigliato a nostra volta. Lo abbiamo anche fatto? Forse non quanto avremmo dovuto…si sa, i detti di saggezza popolare sembrano assennati ma anche un po’ ingenui per chi vive con i ritmi del business e della performance e di tutte le altre belle cose del nostro tempo :-)

Eppure ricerche recenti hanno appena dimostrato come dormire sia una delle attività più strategiche in assoluto proprio per la nostra performance. Innanzitutto quando si tratta di prendere decisioni complesse. Maarten Bos and Amy Cuddy, due ricercatori, hanno fatto il seguente esperimento: ad un gruppo di volontari sono state presentate informazioni sulle automobili. Alcune auto avevano molte caratteristiche positive ma di scarso valore concreto, mentre altre avevano poche caratteristiche positive importanti. Tra i partecipanti chi ha dovuto scegliere immediatamente ha scelto proprio le auto con molte caratteristiche positive irrilevanti. Mentre chi è stato costretto a “distrarsi” per un po’ ha scelto in maggioranza le auto con le caratteristiche importanti.

Come mai? Il responsabile è sempre il nostro amico subconscio che è in grado di processare una enorme quantità di informazioni rispetto alla nostra limitata mente conscia. Ovviamente se gli diamo il tempo e la possibilità di farlo. E cosa meglio di una dormita per favorire il processo? Se è vero questo è anche vero che non basta dormire per avere tutto chiaro...anche se sarebbe davvero bello. Forse è necessario comunque impegnarci prima di prendere una decisione…vediamo come. Innanzitutto non possiamo prescindere dal acquisire quante più informazioni possibile. E questo va ovviamente fatto da “svegli”. Una volta acquisite tutte le informazioni importanti allora potremo dormirci sopra. E il giorno dopo riesaminare il tutto con gli input che ci sono arrivati dal subconscio, magari razionalizzandoli e facendo un’ analisi di fattibilità ed esaminando razionalmente gli impatti delle possibili decisioni.

L’impatto sulla presa di decisioni non è ovviamente l’unico effetto positivo del sonno che è fondamentale anche per:

· rigenerare le cellule muscolari

· produrre gli ormoni della crescita ed eliminare le tossine

· stimolare il sistema immunitario eliminando lo stress

· ottimizzare la facoltà di apprendere

· e banalmente restare ben vigili e senza sonnolenza durante le ore di veglia.


Eppure la sensazione che ho è di vivere in una società dove la deprivazione dal sonno è diventato un fattore di vanto, di orgoglio, quasi di virilità…Quante volte abbiamo assistito a conversazioni in cui i protagonisti orgogliosamente declamavano:

“stamattina mi sono svegliato alle 5, e sono già 10 ore che lavoro”

“figurati, pensa che ieri ho dormito solo 4 ore”

“io in settimana non dormo mai più di 4-5 ore a notte…ormai sono abituato”…

E magari si sono anche abituati. O almeno credono. Ma ad un attento osservatore esterno attento non sfuggono gli sguardi spenti, il nervosismo generale, la difficoltà a comprendere fino in fondo…e le pessime decisioni. Che a volte ci coinvolgono tutti. Per cui, cari leader, per favore…andate a dormire!

giovedì 17 marzo 2011

Il fallimento del time management parte seconda



Dicevamo nel post precedente che i concetti del classico Time Management oggi sembrano molto difficili se non impossibili da applicare. In realtà è necessario adattarli ad un nuovo contesto, semplificare laddove possibile e forse tener conto di ulteriori variabili. Veniamo al tema dell’urgenza. Se è vero che oggi è tutto urgente,  allora non possiamo fare altro che prendere sul serio il tema è cominciare proprio da lì.
Come? Secondo i sacri testi facendo una to do list che secondo i più ortodossi pensatori dovrebbe non solo essere un elenco delle cose da fare, ma contenere anche dati aggiuntivi come il tempo necessario, le priorità etc. Forse troppo tempo per un’utilità marginale ridotta.  Perché allora non aprire l’agenda, cartacea o elettronica che sia, dare un occhiata alle due settimane e buttare giù innanzitutto le cose che devono assolutamente essere fatte “oggi” e che non possono essere rimandate. Questo ci dovrebbe ragionevolmente assicurare sul fatto di non dimenticare niente di fondamentale. E tutto il resto? Vale la pena scrivere il resto delle cose da fare importanti per l’orizzonte temporale di due settimane da qualche parte in modo che sia facilmente accessibile ed anche casualmente consultabile*. 

Ora secondo i concetti del time management classico una lista del genere è di scarsa utilità e le attività andrebbero pianificate in agenda. Se ci avete provato avete probabilmente scoperto che capita assai di rado di fare quello che abbiamo scritto in agenda proprio nel momento in cui lo abbiamo pianificato. Come mai? Innanzitutto perché,  come abbiamo già detto in quel momento riservato ad esempio a redigere il report x,  potrebbero succedere una quantità di cose che dobbiamo gestire, impreviste e non rimandabili-rimbalzabili. O potrebbe succedere che proprio in quel momento, seppur libero, compilare il report x sia l’ultima delle cose che ci sentiamo di fare. Perché? Perché durante una giornata di 8 ore (ok, 10 ore) la nostra predisposizione mentale e il livello della nostra energia sono molto molto diversi: ci sono momenti della giornata in cui ci sentiamo più creativi ed altri in cui non ci viene un’idea neanche se posseduti dallo spirito di Archimede Pitagorico,  ci sono momenti in cui abbiamo più voglia di comunicare con gli altri e momenti in cui vorremmo stare assolutamente e meravigliosamente soli. E via dicendo. Forzare un attività che richiede ad esempio creatività in un momento in cui il nostro cervello funziona a mono neurone è un grande errore. Ci sforziamo, ci frustriamo, e alla fine rinunciamo. Facendo saltare tutto il resto della nostra magnifica pianificazione. 

Quale alternativa allora? La lista di cose da fare nell’orizzonte temporale delle due settimane ci può venire in grande aiuto. Come dicevamo,  il criterio fondamentale è averla sempre sott’occhio. E nel momento in cui abbiamo terminato le famose attività non rimandabili e per fortuna non abbiamo imprevisti o interruzioni,  darle un’occhiata facendo attenzione innanzitutto al nostro stato d’animo…in sostanza scegliere dalla lista l’attività che meglio combacia con la nostra predisposizione e con il nostro livello di energia di quel momento. E finalmente svolgere quel lavoro in armonia con noi stessi e con l’universo. Se poi arriveranno altre attività impreviste le faremo subito se fondamentali per “domani” o le aggiungeremo alla lista se rimandabili. La lista quindi, eliminati i pericoli imminenti, diventerà una specie di bacino da cui potremo pescare ogni volta che abbiamo un momento, in funzione del momento stesso e non di una pianificazione fatta a priori e che non tiene conto di…”noi stessi”. Ed anche su questo c’è ancora molto da dire…

* Personalmente credo fortemente nell'utilità di un solo ed unico quaderno o taccuino per segnare ogni tipo di cosa: gli appunti presi durante le riunioni, riflessioni estemporanee, la preparazione ad un evento e quindi  anche per l’elenco delle cose da fare…Anche questa però è una scelta individuale che deve essere fatta in sintonia con la propria predisposizione...

domenica 6 marzo 2011

Il fallimento del time management prima parte


Abbiamo 35 nuove mail a cui rispondere, una pila di report e comunicazioni e proposte da leggere e ovviamente il telefono sta squillando…si il cellulare…non quello, l’altro! Davanti a noi due meeting a durata potenzialmente infinita e una “to do list” di almento 20 voci. Saremo fortunati se riusciremo a fine giornata a depennarne due o tre. Lo stress aumenta e potrebbe aumentare ulteriormente se abbiamo appena fatto un corso di time management. Si perché ci sentiremo traditi da quei concetti che ci apparivano assolutamente sensati e la promessa di un mondo ordinato, sereno e limpido si è dimostrata essere un’illusione.


Maledizione, perché? Eppure i concetti di fondo proposti dalla “scienza” della gestione del tempo non solo hanno senso, ma sembrano anche l’unico modo possibile per difendersi. In sintesi si tratta di distinguere quello che è urgente da quello che è importante, pianificare con cura ciò che è importante in modo che non diventi urgente, lasciare spazio tra un’attività e l’altra ed imparare a dire di No, delegare e difendere il proprio tempo. Semplice. Ma, almeno in Italia, molto difficile da applicare. Da una parte è legato alla nostra naturale e culturale concezione del tempo…noi siamo caotici e multitasking per definizione, cosa che in certe circostanze è anche un pregio, diversamente dall’approccio più lineare alle cose che hanno in altri paesi (un’immagine per tutti: la fila per salire sull’autobus…ok se vi state chiedendo “quale fila?” sappiate che in certi paesi ci si mette in coda ordinata anche per quello). E se non bastasse la predisposizione naturale dell’italiano, bisogna considerare l’aumento esponenziale delle informazioni che dobbiamo gestire e delle attività, interruzioni, comunicazioni, compiti che dobbiamo affrontare. In questo scenario anche il più disciplinato ed ortodosso pianificatore avrebbe delle difficoltà. Se anche lui avesse un agenda razionale ed una serie di priorità impeccabili i clienti, i colleghi e peggio ancora i capi, purtroppo no! Ed in ogni caso il volume di lavoro da smaltire che si accumula ad ogni secondo è comunque troppo per pensare di gestirlo con ordine. Siamo comunque destinati a vivere in un mondo dominato dall’urgenza.

Esiste una qualche via di uscita? Come disciplinare questo fiume di attività, telefonate, email, riunioni, incontri con i clienti, chiacchere, report, offerte, sms, conference calls, etc? Forse il problema non è trovare la risposta ma formulare una nuova domanda! Forse pensare di disciplinare il tutto è impossibile e il vero quesito a cui rispondere è: “come posso navigare in questo torrente impetuoso di cose da fare?”. La risposta coinvolge alcuni concetti interessanti legati a temi come la “pianificazione dinamica” e la gestione dell’energia. Ne parleremo alla prossima, adesso non ho più tempo :-).

domenica 9 gennaio 2011

Sul potere desertificante di Mr. NO


Nel post precedente si parlava del fatto che se vogliamo esplorare una nuova idea bisogna che nel nostro cervello questa idea compaia almeno come possibilità. E’ la possibilità che favorisce la creatività, non il contrario. E queste “possibilità” saranno presenti ed a nostra disposizione solo se ci alimentiamo di idee, concetti, esperienze nuove. Eppure quanti siamo davvero “permeabili” al mondo e quanto invece tendiamo a rifiutare anche solo di esplorare qualcosa di nuovo replicando con un facile NO seguito da una qualche sintetica frase luogo comune volta alla distruzione dell’idea proposta? Ecco alcune situazioni a cui ho assistito:


“Vieni con me a vedere la mostra di xxx?”
“No guarda, l’arte moderna mi fa solo incazzare”

“Ho letto questo libro fantastico, magari ti piacerebbe”
“No guarda, è già troppo spesso per i miei gusti”

“…creiamo un evento su face book?”
“No guarda, io il computer lo uso per lavoro e non ho nessuna voglia di passare il mio tempo libero attaccato a chattare”

“Perché non vieni a fare una lezione di prova di (yoga,pilates, tango, salsa, tai chi, etc etc) magari ti piacerebbe!”
“No guarda, son cose che proprio non mi interessano”

Direi che si tratta dello stesso atteggiamento di principio che ha fatto dire qualche NO più famoso, come questi ad esempio.

• “Non c’è ragione per cui qualcuno possa volere un computer a casa”
Ken Olson, president, chairman and founder of Digital Equipment Corp., 1977

• “Questo 'telefono' ha troppi inconvenienti per essere preso seriamente in considerazione come strumento di comunicazione. L’apparecchio non ha valore per noi.
Western Union internal memo, 1876

• “Chi vuol sentire parlare gli attori?"
H. M. Warner, Warner Brothers, 1927

• “Non ci piace il loro sound, e comunque la chitarra è uno strumento che sta per uscire di scena.
Decca Recording Co. rifiutando i Beatles, 1962

• “Macchine volanti più pesanti dell’aria? Impossibile"
Lord Kelvin, presidente della Royal Society, 1895

Statisticamente pare le persone siano più portate a “rigettare” concetti o proposte lontani da loro piuttosto che a prenderle in considerazione (non dico accettarle, intendo semplicemente darci un’occhiata). Forse perché è più faticoso dire di SI? Forse perché dicendo di NO si porta avanti una privatissima battaglia di affermazione del proprio ego? Fatto sta che dicendo continuamente NO ci si preclude la possibilità di contaminare il nostro piccolo patrimonio di idee e conoscenze con i semi di nuove piante. E quindi, anche annaffiando il nostro cervello con abbondanti dosi di brainstorming e pensiero laterale, non potrà crescere un bel niente.

Quante volte sentite dire di NO a vostre proposte, iniziative, passioni, idee, etc? Non sarebbe male fare una lista delle idee più osteggiate dagli ostinati conservatori di principio che abbiamo attorno a noi.
Ditemi la vostra e…non ditemi di NO :-)