domenica 21 febbraio 2010

Aziendal graffiti parte prima



Sono fermo in piedi. Davanti a me un bancone stile reception. Dietro una signorina che scrive al computer. Sto così da almeno un paio di minuti. Io aspetto, lei scrive. Io la guardo, lei guarda lo schermo. Io mi guardo intorno spazientito. E dietro la signorina mi soffermo su un cartello che recita “la soddisfazione e la cura del cliente per noi sono prioritari”. Torno a guardare la signorina. Immobile. Io e lei. Ancora qualche minuto e finalmente rotea gli occhi di un paio di gradi e incontra il mio sguardo. Tra di noi circa 50 cm. “Aveva bisogno?”. Avrei voluto dirle “no, assolutamente. Amo passare le mie giornate in piedi immobile ad ascoltare il tic tac di una tastiera di computer. Mi rilassa”. Dico “si, ho telefonato e prenotato, dovrei lasciare l’auto per il tagliando”. Lei tornando con lo sguardo al pc dice “deve parlare con il collega” e mi indica un ufficio vuoto. La storia potrebbe andare avanti ancora a lungo (come di fatto la mia permanenza in quei luoghi e la maratona del mio tagliando). La riflessione nasce piuttosto in fretta. Le organizzazioni, piccole o grandi amano darsi codici o linee guida di comportamento, etiche o valoriali. E va bene. Per lo più le medesime sono rappresentate sotto forma di cartelloni, quadri, poster appesi ovunque. Graffiti moderni che decorano tutte le aziende. Una full immersion di buon senso e belle parole. Eppure spesso la sperimentazione diretta mostra comportamenti ben lontani, se non all’antitesi, di quanto proclamato sui muri. Com’è?
Facciamo un esperimento. Provate ad immaginare di voler scrivere la carta dei valori o delle regole di comportamento di casa vostra. Diciamo almeno due o tre punti. Via.
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Bene. A qualcuno è venuto in mente di scrivere “in questa casa non si ammazza?”. Immagino di no. ”Non uccidere” è, normalmente, qualcosa di più di una regola o un principio o un valore. Probabilmente rientra nella categoria che potremo chiamare delle “assunzioni di base”. Assunzioni talmente vere e radicate dentro di noi che non ci viene neanche in mente di renderle esplicite. La vera cultura di una persona, o di un’ organizzazione, è vissuta quotidianamente in modo inconsapevole ed è addirittura difficile “estrarla” e formalizzarla. Insomma, se è vero e profondo non ci viene neanche in mente di scriverlo da qualche parte. Allora cosa sono tutte quelle scritte sui muri? Se seguiamo la logica del ragionamento potremo dire “regole, valori e principi “che vorremmo ci fossero e che non ci sono. La grande illusione è che semplicemente avendoli sotto gli occhi in qualche modo serva ad influenzare il comportamento. Il che è assolutamente falso, infatti quello che abbiamo sempre sotto gli occhi diventa rapidamente invisibile. Se non ci credete provate a dire (senza guardare) cosa c’è sul retro della banconota da 10 €.
Insomma, personalmente diffido dalla esplicitazione, sia personale che aziendale, di valori o norme di comportamento. La signorina al pc e la sua abilità quasi soprannaturale di ignorarmi ne è un esempio. Empiricamente mi sento di dire che “se viene dichiarato esplicitamente” allora non è “vissuto veramente”. E mi vengono in mente alcuni casi di organizzazioni lestissime a licenziare i cui muri dichiaravano “le persone sono il nostro capitale più importante”. Altre in cui ogni persona ammetteva che bisognava innanzitutto “pararsi il fondoschiena” per andare avanti i cui muri inneggiavano all’onestà, al rispetto e alla trasparenza. Restano alcune domande. Come si forma davvero una cultura aziendale? E se non è quella “appesa ai muri”, come possiamo “estrarla” Una possibile risposta alla prima domanda viene dal comportamento delle scimmie. Per la seconda forse dobbiamo tornare ai tempi in cui ancora la scrittura non esisteva. Ma questa è un’altra storia.