lunedì 15 febbraio 2010

“Nel magico mondo del feedback” parte prima



La verità è tanto più difficile da sentire quanto più a lungo la si è taciuta. (Anne Frank)

Nelle aziende ogni tanto se ne parla “I nostri manager devono essere più assertivi”, “ci vuole più chiarezza”, “dobbiamo sviluppare la cultura del feedback”. Tra l’altro questa necessità a volte genera situazioni paradossali. Ho assistito a questo dialogo tra un manager e un formatore chiamato ad aiutarlo a risolvere un problema con una sua persona. “E’ troppo molle con i suoi collaboratori, non osa mai dire niente, gli altri se ne approfittano. Dovete insegnargli a dare feedback”, aveva detto perentorio il manager. Il coach, facendo il suo lavoro, aveva chiesto: “come ha reagito quando gli avete fatto osservare questa sua lacuna?”. E la risposta era stata: “no no, non gli abbiamo detto niente, è molto sensibile e potrebbe offendersi”. Ecco, questi sono gli italiani alla presa con lo spinoso tema del feedback. Diciamocelo, noi questa capacità di andare diritti al punto e dire esattamente quello che pensiamo, soprattutto se in qualche modo “negativo” proprio non la abbiamo nel DNA. Non è così dappertutto. In certi paesi europei dire ad un altro (amico, collega, collaboratore, addirittura capo) quello che si pensa in modo schietto e diretto è normale. In certi ambiti quasi sacro. Giusto per citare un caso ricordo un feedback datomi da un collega olandese durante il mio periodo di formazione all’interno di una multinazionale di cultura fortemente nordeuropea. Sapevo che avrei dovuto ascoltare, e sapevo che mi avrebbe fatto male. Il feedback è arrivato e sì, ha fatto male. Avevo deciso a priori che avrei accettato la situazione facendo buon viso a cattivo gioco e nonostante sentissi la faccia avvampare dal caldo e le gambe tremare, nonostante fosche visioni di vendetta mi passassero davanti, ero anche riuscito a controllarmi e a dire, la voce strozzata, “ok”. Non era finita però. Il collega continuava a fissarmi con occhi di ghiaccio. Silenzio. Dopo alcuni interminabili secondi ha proseguito chiedendo “Scusa, credi che il mio feedback sia stato importante?”. Annuii. “E allora un ringraziamento sarebbe la cosa più opportuna, no? Quanto è importante dare un riscontro a chi ti aiuta segnalandoti le tue aree di miglioramento?”. Ecco, mi avevano dato feedback e subito dopo un altro feedback su come avevo accolto il primo feedback. Insomma ci sono evidentemente culture e predisposizioni diverse relativamente alla comunicazione. Noi italiani siamo più orientati verso l’iperbole, il meta messaggio sottile, la comunicazione induttiva. Ma in qualche modo intuiamo a livello personale o aziendale che essere più assertivi in generale potrebbe aiutarci. Come mai? Perché forse sappiamo che il non detto in qualche modo “fermenta” dentro di noi creando tensioni personali e interpersonali e accumulo di tossine che prima o poi esplodono in momenti di rabbia. Oppure sfociano in comportamenti altamente scorretti. Mi hanno raccontato questa storia: in un’ azienda era stata assunta una nuova ragazza che aveva un problema di ipertraspirazione… insomma, “puzzava un po’”. Probabilmente un bel “po’” visto che nessuno voleva stare vicino a lei, neanche il tempo di un caffè e soprattutto a pranzo. Isolata completamente e senza sapere il perché dopo alcuni mesi ha fatto causa all’azienda per mobbing. E poi se ne è andata. Magari bastava farle notare il problema. Al di là di questo caso estremo una comunicazione chiara, sincera e diretta è fondamentale per un buon lavoro di squadra e indispensabile se gestiamo collaboratori. Tra l’altro comunicazione chiara, diretta e sincera non riguarda solo il “feedback” inteso come area di miglioramento ma anche il “feedback positivo”. Sarà sorprendente ma abbiamo gli stessi problemi comunicazionali. Come fare allora a innescare in modo utile e non traumatico questa modalità di comunicazione? Ne parleremo prossimamente.
PS: feedback su questo post?