lunedì 30 giugno 2014

Il generalismo: Scienza o Fantascienza?


“Gioventù non sa quel che può, maturità non può quel che sa...”

“SOLIDARIETÀ GENERAZIONALE: Il desiderio di una determinata generazione di etichettare come imbelle quella successiva, allo scopo di esaltare il proprio orgoglio collettivo.”
D. Coupland, Generazione x

Heinlein, famoso scrittore statunitense di fantascienza  nel suo romanzo Lazarus Long L’Immortale, nel 1973 così teorizzava “Un essere umano deve essere in grado di cambiare un pannolino, pianificare un'invasione, macellare un maiale, pilotare una nave, progettare un edificio, scrivere un sonetto, tenere la contabilità, costruire un muro, aggiustare un osso rotto, confortare i moribondi, prendere ordini, dare ordini, collaborare, agire da solo, risolvere equazioni, analizzare un problema nuovo, raccogliere il letame, programmare un computer, cucinare un pasto saporito, battersi con efficienza, morire galantemente. La specializzazione va bene per gli insetti”.

Si tratta di una mera speculazione fantascientifica o di una lettura visionaria dell’evoluzione della nostra specie?

Secondo la Treccani, si dice generalista “un organismo non selettivo nella scelta di tipo alimentare (contrapposto a specialista). La strategia generalista può essere particolarmente conveniente se risorse diverse sono disponibili o se l’ambiente è instabile”. Dal punto di vista ecologico quindi, l’organismo generalista sarebbe più funzionale e adatto a un eco-sistema variabile e diversificato. 
Eppure le aziende sembrerebbero ignorare questa verità. Almeno stando alle logiche seguite nelle ricerche per i nuovi inserimenti: si cercano ovunque specialisti di settore, specialisti di un mercato, segmento, prodotto; specialisti di funzione, di ruolo, di una tecnologia. Lo specialista è il super esperto di una nicchia, di un particolare settore di una scienza, di un’arte, di una professione: padroneggia in modo eccellente la sua materia, la conosce in modo approfondito, ne sa parlare con cognizione di causa. I suoi pareri sono affidabili e precisi. 

Non metto in discussione il valore della specialità. Non esistono campioni di “sport”: esistono esperti in una certa disciplina. Se per essere campioni si dovesse sapere saltare, correre, lanciare un giavellotto, nuotare, tuffarsi, combattere.. non esisterebbero campioni. Ma quanti campioni di specialità servono davvero in un’organizzazione? In azienda bisogna dimostrare, in egual  misura, di saper saltare gli ostacoli, correre la staffetta, combattere lealmente, giocare di squadra. In un’epoca in cui la contaminazione pervade arti e discipline e ridisegna la socialità, le aziende sono ancora tese, prevalentemente, a difendere il proprio vantaggio competitivo con la strategia del sotto vuoto e della ventilazione forzata. Pur invocando flessibilità e trasversalità, non aprono le finestre per guardare al nuovo, o per guardare al vecchio con occhi nuovi, come suggeriva Proust. 

Allora forse, si potrebbe scoprire un generalismo, che non è per forza sapere superficiale, ma ad esempio capacità di “deragliare” più facilmente e quindi di pensare in modo creativo e di generare innovazione; o un’attitudine alla ricerca di prospettive diverse da conciliare; o l’espressione di una sana e fertile curiosità.  Il generalismo potrebbe essere una nuova via? Un’opzione possibile, quando ciò che più conta sono la “learning agility”, la velocità di adattamento, la capacità di leggere il contesto in modo ampio ed inclusivo?


Alessandra Giardiello