Oggi
ne se parla molto ma la famigerata matrix organization è stato introdotta negli
anni 70 (è tutt’altro che una novità quindi) per gestire la competizione con i produttori
giapponesi, la computerizzazione di molte attività tecniche ed ammnistrative e
per dare seguito alla consapevolezza che team cross funzionali (formati da
persone da diversi dipartimenti e specialità) erano necessari per creare e
produrre prodotti complessi rapidamente. Idealmente questo approccio che doveva
portare molti benefici “collaterali” insistendo su collaborazione, flessibilità
e condivisione delle conoscenze. Guarda caso sono proprio tre ambiti in cui
l’essere umano spesso non eccelle “naturalmente”, soprattutto se la sua cultura
aziendale di riferimento viene dalla classica vecchia organizzazione funzionale
(piramidale gerarchica) in cui è tutto chiaro, preciso, delineato…e lento.
Comunque, pare che la struttura a matrice sia passata di moda negli anni 90 ma
sia tornata in grande spolvero recentemente per via della forte pressione per
innovare a ritmi mai visti prima.
Però
oggi spesso le organizzazioni a matrice funzionano male o alla meglio creano
enorme frustrazione tra le persone. Come mai?
Il
fatto è che in questo tipo di organizzazione le abilità e conoscenze contano
più del nostro stato, il ruolo non definisce completamente chi siamo e cosa
dobbiamo fare e ci possiamo trovare con più manager a cui fare riferimento,
obiettivi in conflitto, senza autorità ma con la responsabilità di guidare
gruppi di persone. La struttura a matrice taglia orizzontalmente le catene
verticali di comando, distruggendo i silos, allargandosi oltre i confini
nazionali e combinando funzioni diverse. E per poterla far funzionare non basta
creare la nuova organizzazione. Il primo passo in realtà come spiegato molto
bene da un articolo dell’ Harvard business è quello di creare la “matrice”
nella mente delle persone. Questo implica sviluppare una serie di attitudini,
abitudini e capacità che le tradizionali strutture avevano atrofizzato. Insomma
per sopravvivere alla matrice bisogna:
- Saper gestire con efficacia l’intreccio di relazioni funzionali, gerarchiche e di progetto nel raggiungere gli obiettivi assegnati
- Diventare protagonista del proprio sviluppo professionale e di carriera
- Sviluppare un atteggiamento proattivo nel cercare informazioni e riferimenti necessari per il portare avanti il lavoro
- Fare networking costante per garantire lo scambio veloce di informazioni e opportunità
- Comprendere a fondo gli obiettivi aziendali, per risolvere in modo costruttivo conflitti tra obiettivi funzionali, di progetto e individuali
- Imparare a gestire l’ambiguità e a riconciliare i dilemmi
- Fare conto più sull’autorevolezza personale che sul ruolo per portare avanti i team di lavoro che coordiniamo
Vien
da se che per avere successo nello sviluppare quanto sopra dobbiamo metterci in
gioco più di prima ed uscire ampiamente dalla nostra zona di confort impegnando
a tirare fuori i nostri talenti migliori. Possiamo in sintesi essere delle
vittime della matrice, che subiamo passivamente lamentandoci. O possiamo
diventare dei veri matrix manager in grado di abbracciare la flessibilità ed il
cambiamento grazie ad una solida mentalità di crescita.
Paolo Mazzaglia