domenica 7 marzo 2010

Aziendal graffiti parte terza: dalle caverne a oggi ovvero il potere delle storie



"Come mai Salomone era riconosciuto come il più saggio degli uomini? Perché conosceva più storie degli altri. Grattando la superficie di un tipico consiglio di amministrazione scopriamo di essere ancora uomini delle caverne con la valigetta, ansiosi di ascoltare storie raccontate da una persona saggia”. Alan Kay, vice presidente della Walt Disney

Nel post precedente ci si chiedeva quale fosse il principale strumento usato dagli esseri umani per fondare e trasmettere la cultura di un’organizzazione. La risposta è forse molto semplice: tramite le storie che raccontiamo. Ovviamente a voce.
Ci sono molti modi di interpretare questo fenomeno “naturale” all’interno delle organizzazioni. Ad esempio secondo Jim March di Stanford i pettegolezzi non sono poi così male. Già perché, al di la di qualche inevitabile malignità non sono che notizie che devi sapere su persone che devi conoscere. Un mezzo inevitabile e, forse l’unico disponibile, per capire se un’altra persona è affidabile. Ma le storie sono più di questo. Le storie sul lavoro stesso, e sulla sua natura hanno provato essere più efficaci della documentazione scritta per aiutare i colleghi a risolvere problemi. Innanzitutto perché è più facile capire una persona che spiega un processo piuttosto che leggere una documentazione tecnica, e soprattutto perché sentiamo il bisogno di interazione, di fare domande, di ascoltare consigli.
E ancora le “favole” e i “miti” trasmessi oralmente hanno un eccezionale potere di comunicazione non solo internamente ad una organizzazione ma anche esternamente, verso i clienti, i partner ed anche i concorrenti. Questo perché si rivolgono ad entrambe le parti della mente: quella razionale e quella emotiva. Inoltre parlando di cambiamento o sfide future le storie aiutano a creare una mappa per disegnare la strada da percorrere. Non che gli aspetti logici e razionali non servano, ma trascurare quelli emotivi sarebbe un errore perché sappiamo benissimo il ruolo delle emozioni nei nostri processi decisionali. Tra l’altro il fenomeno del raccontare non va innescato, fa parte della natura umana ed è inevitabile; il punto non è raccontare, il punto è stare a sentire e far leva su un ricchissimo capitale di conoscenza già disponibile.
In sintesi le storie sono un mezzo meraviglioso poiché incorporano in un formato compatto informazioni, conoscenza, contesto ed emozioni. Creano conoscenza, cultura e danno direzione. Oggi come secoli fa, quando passavamo le serate attorno al confortante fuoco che ci proteggeva dalle fiere ed imparavamo a diventare uomini e le regole della nostra società dalle parole dei vecchi saggi.
Il concetto non è una novità e infatti molte organizzazioni si stanno muovendo per raccogliere, trasmettere, creare storie per comunicare internamente ed esternamente. E funziona. Ovviamente a patto di usare le “giuste parole” come racconta in modo meraviglioso Benigni in uno spezzone del film “La tigre e la neve” (http://www.youtube.com/watch?v=IpQHcCisKEA).

Ma questa è un’altra storia :-)