domenica 14 marzo 2010

“Nel magico mondo del feedback” parte seconda



Dicevamo che la cultura italiana non è troppo focalizzata sulla comunicazione chiara e diretta. Non è sempre vero; il problema è che tendiamo facilmente a cadere negli eccessi. Capita di incontrare persone che dichiarano con orgoglio “io non ho peli sulla lingua e se devo dire qualcosa la dico”. Bene. Salvo il fatto che questi “terminator” forse qualche pelucchio farebbero bene ad averlo…poiché si scopre che animati da un sacro fuoco di distruzione si aggirano come condor in cerca di preda e si scagliano su qualsiasi cosa, attività o comportamento che a loro non piace. E di solito a loro non piacciono moltissime cose. Risultato? Vengono schivati come la peste e se parliamo di un ambiente di lavoro installano nei colleghi o collaboratori l’abitudine alla furtività. Evidentemente a nessuno piace essere tempestato di micro rimproveri, commenti negativi, feedback depressivi e per un naturale istinto di sopravvivenza si tende a fornire meno appigli possibili. Risultato: il terminator non avrà mai un quadro chiaro e completo dello stato delle cose e dei processi e i suoi feedback invece di sortire un effetto positivo saranno vissuti come un inevitabile pioggia sporca da asciugarsi da addosso il più in fretta possibile. Se poi in azienda i terminator sono molti avremo l’effetto Otis Reddings che in “Sittin On The Dock Of The Bay” diceva:

"I cant do what ten people tell me to do, so I guess I'll remain the same"

In sintesi: tantissimi feedback da direzioni diverse, nessun cambiamento.

L’altra faccia della medaglia è ovviamente quella di una comunicazione poco chiara e fumosa. Risultato? Chi fa stupidaggini o semplicemente sbaglia perché sta imparando non avrà mai modo di migliorare e chi si accorge delle stupidaggini e non dice niente si porterà a casa gran mal di pancia e accumulerà frustrazione.
Cosa serve allora per sviluppare una cultura del feedback equilibrata e costruttiva? Ecco alcuni punti…

1) Aver capito il senso di questo strumento
2) Avere la motivazione di uscire un poco dalla nostra zona di comfort
3) Avere gli strumenti comunicazionali per farlo al meglio
4) Avere la giusta intenzione

In particolare questo ultimo punto è forse il più importante. Cosa significa “la giusta intenzione?”
In sintesi, se diamo feedback per :
• Avere ragione - Averla vinta - Apparire migliore – Punire -Sfogarci

allora non c’è tecnica di comunicazione che regga. L’altro percepirà comunque la nostra intenzione e il risultato sarà comunque negativo per entrambi. Se invece decidiamo di dare feedback per:

• Ottenere risultati - Rinforzare la relazione - Essere onesti –Aiutare

allora forse possiamo sperare che, nonostante qualche resistenza inevitabile, il messaggio passi e che alla fine le persone coinvolte nel processo possano evolvere ad un livello di relazione-comunicazione più alto. Ce la potremo mai fare? A volte ho dei dubbi…come quando dopo un’intera giornata di discussione sul tema un non più giovanissimo manager decise di dare un feedback ad un collega in questa forma:

“caro collega, non ti dico niente perché ho troppa stima di te. Altrimenti dovrei mandarti a f@#k/o”.

Sono soddisfazioni!