domenica 21 marzo 2010

Gli obiettivi, Deming e la ricerca della Via



Per chi non lo conoscesse, Deming è è stato un consulente Statunitense famoso per il suo lavoro sulla qualità. In particolare aiutò l’industria giapponese a diventare supercompetitiva insegnando come con l'adozione di opportuni principi di gestione, le aziende possono aumentare la qualità e contemporaneamente ridurre i costi e aumentando la fidelizzazione dei clienti. La chiave è quella di praticare un continuo miglioramento (in giapponese "Kaizen"). Il peso di quest’uomo nella storia dell’industria è stato fondamentale, anche se solo alla fine della sua carriera il suo valore è stato riconosciuto in patria. Deming identificava 14 punti fondamentali che i “total quality managers” avrebbero dovuto seguire. Il punto 11 suggeriva, in sintesi, di eliminare il “management by objectives”. Ebbene si, uno dei più grandi geni della storia industriale sosteneva come ogni tecnica motivazionale con eccessivo focus sulla “quantità” fosse organizzativamente disfunzionale. Attimo di silenzio.
Chiunque abbia ricevuto un minimo di formazione “manageriale” potrebbe sentirsi destabilizzato dalle affermazioni di Deming poiché sarà sicuramente stato indottrinato sulla importanza di un “management by objectives”. Se alle persone non vengono dati obiettivi quantitativi non è possibile il controllo, loro non saranno motivate, l’annual appraisal non avrà senso etc etc. Il discorso in realtà diventa più ampio e filosofico. Anche perché un modello di pensiero basato sulla “quantità” è alla base del pensiero occidentale.
Ma scendiamo di livello vediamo con un esempio concreto come concentrarci solo sugli obiettivi può essere disfunzionale. Immaginiamo Evaristo, un giovane commerciale assunto da poco. La sua principale attività è quella di fissare appuntamenti telefonici con potenziali clienti che poi dovrà incontrare per vendere il suo prodotto. Il suo capo giustamente si siede con lui e discutono del come e del quanto. In particolare si concentrano su quante telefonate al giorno Evaristo potrà fare e conseguentemente quanti appuntamenti ci si aspetta che prenda entro la fine del mese. Un mese dopo i due si re incontrano e il capo verifica immediatamente il numero di appuntamenti presi. Evaristo mogio dichiara di non ha raggiunto l’obiettivo e il capo si mostra indispettito e mette in discussione la sua “motivazione”. Infine vengono fissati nuovi obiettivi per il mese successivo. Nuovo incontro e Evaristo è raggiante. Stavolta c’è l’ha fatta; complimenti del capo e tutti sono felici e contenti. Qual è il problema? Che per raggiungere l’obiettivo ha preso appuntamenti con “cani e porci” (passatemi il francesismo), insomma con aziende con palese potenzialità commerciale nulla. Appuntamenti a cui comunque dovrà andare e che impegneranno moltissimo tempo. Sprecato. Dove è il problema qui? Nella capacità o motivazione del ragazzo nel prendere appuntamenti? Forse no perché per raggiungere l’obiettivo ha comunque dovuto telefonare e far valere se sue capacità comunicazionali al telefono. E allora forse ci si sarebbe dovuti concentrare meglio sul processo: innanzitutto verificando “on the job” la possibilità di migliorare la strategia di approccio di Evaristo ai clienti con potenziale. E se non si fossero evidenziate aree critiche pensare di rimettere in discussione tutta la strategia, magari modificando la comunicazione dell’azienda all’esterno, cambiando la targettizzazione etc etc. Insomma un lavoro molto più impegnativo sia a livello di tempo che di “capacità di messa in discussione” del manager in questione. Molto più comodo contare il numero di appuntamenti. Risultato: il processo disfunzionale di approccio al mercato rimane tale e quale, nessun apprendimento organizzativo e un gran spreco di energie.
Insomma, gli obiettivi vanno bene, ma attenzione perché possono portarci fuori strada. Come ci fa capire in modo fulminante questa antica storiella orientale.

Un giovane attraversò tutto il Giappone per raggiungere una famosa palestra di arti marziali. Arrivato al cospetto del maestro disse “voglio studiare con te e diventare il più abile combattente del Giappone. Quanto tempo mi ci vorrà?”. “Almeno dieci anni” rispose il maestro. “E se studiassi il doppio dei tuoi allievi?” continuo il giovane. “Allora ci vorranno vent’anni”, rispose il maestro. “Vent’anni? E se io mi mettessi a praticare giorno e note con tutte le mie forze?”. “Trent’anni”, fece il maestro. “Ma come è possibile che ogni volta che ti dico che ci metterò più impegno, mi dici che ci vorrà più tempo?”, chiese il ragazzo sconcertato. “La risposta è semplice. Se un occhio è continuamente fisso sulla destinazione finale, resterà solo l’altro occhio per cercare la Via”.